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Gaza: Israele bombarda ma rinvia l’invasione, l’Iran: “Pronti a colpirvi ad Haifa”

La Jihad palestinese può attirare il nemico nella Striscia per poi colpirlo con armi a sorpresa

Secondo quanto riferisce la radio militare, Israele avrebbe deciso di “ritardare” l’offensiva di terra a Gaza – cioè l’invasione con i tank – in attesa dell’arrivo di altre forze militari statunitensi in Medio Oriente. Ma non è solo con questa notizia che si è aperta la terza settimana di guerra contro Hamas.  

Il comandante in seconda della Guardia Rivoluzionaria iraniana, Ali Fadavi, ha indicato infatti come obiettivo da colpire la città di Haifa, nel nord di Israele. Sale dunque ancora di più la tensione in tutta la regione. Ciò non toglie che, scrive il New York Times, Hamas possa “liberare 50 ostaggi con doppia nazionalità” mentre un nuovo convoglio di camion carichi di aiuti è entrato a Gaza dal valico di Rafah, al confine con l’Egitto.

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Bombardamenti israeliani su Gaza. Foto Twitter @Pal_action

L’appello di papa Francesco

Da Gaza il ministero della Sanità della Striscia ha reso noto che “sono 2.055 i bambini morti finora in seguito ai bombardamenti dell’esercito israeliano“. Nel complesso, si legge in un rapporto diffuso il 23 ottobre, dal 7 ottobre scorso – giorno dell’attacco di Hamas contro Israele – i bombardamenti delle Israel Defense Forces (IDF) hanno ucciso almeno 5.087 persone a Gaza, mentre altre 15.273 sono rimaste ferite, secondo fonti palestinesi. Oltre il 40% delle abitazioni di Gaza City è distrutto o danneggiato.

È sul solco di notizie tragiche come queste che papa Francesco non smette un attimo di chiedere a tutte le parti in causa di fermare la guerra subito. “Non dobbiamo abituarci alla guerra, a nessuna guerra” è scritto sull’account Twitter ufficiale del Pontefice. “Non dobbiamo permettere che il nostro cuore e la nostra mente si anestetizzino davanti al ripetersi di questi gravissimi orrori contro Dio e contro l’uomo“.

Gaza, la guerra asimmetrica

A fronte degli appelli alla moderazione che giungono anche da altri leader mondiali, incluso lo stesso presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, in realtà Israele ha per ora soltanto posticipato l’invasione di Gaza che sembrava imminente. Osservatori e analisti parlano tuttavia del rischio di una “sorpresa letale” da parte di Hamas: droni sottomarini e armi sofisticate, micidiali bombe nascoste sotto il terreno. “Capacità” di Hamas che “non abbiamo ancora visto” in un contesto di “guerra asimmetrica“. A scriverlo è il quotidiano statunitense The Washington Post che cita analisti che studiano le capacità militari dell’organizzazione terroristica palestinese.

Se la maggior parte delle armi utilizzate il 7 ottobre era già nota in precedenza, gli esperti temono che Hamas possa avere un arsenale più avanzato dal punto di vista tecnologico. Due settimane fa i terroristi avrebbero utilizzato 35 droni kamikaze, tutti costruiti sulla base di vecchi progetti di Mohamed Zouari. Si tratta di un ingegnere aerospaziale ucciso alla fine del 2016 mentre era seduto nella sua auto nella città tunisina di Sfax in circostanze che hanno portato subito i sospetti verso il Mossad, il potente servizio segreto israeliano.

Le armi di Hamas

Secondo Fabian Hinz, esperto di missili e analista di difesa al think tank britannico Institute for International and Strategic Studies, “è molto probabile che Hamas abbia capacità che non abbiamo ancora visto“. Qualora seguissero gli schemi degli Hezbollah libanesi, i terroristi palestinesi potrebbero cercare di attirare le forze israeliane per poi colpire a sorpresa, magari obiettivi lontani dalla linea del fronte. “Abbiamo sistemi di difesa“, si è limitato a dire un ufficiale delle IDF rifiutandosi di commentare oltre.

Il drone sottomarino

Il Washington Post ricorda inoltre come nel 2006 la sorpresa degli Hezbollah libanesi sia stata un missile antinave che colpì la corvetta israeliana Ins Hanit provocando la morte di 4 membri dell’equipaggio. Se nei piani di Hamas ci fosse una “sorpresa” simile, potrebbe trattarsi di un drone sottomarino, simile a quello che Zouari stava progettando più di sette anni fa. O potrebbe trattarsi di un missile con un sistema di guida che potrebbe consentire di colpire a molti chilometri di distanza.

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Il comandante in seconda della Guardia Rivoluzionaria iraniana, Ali Fadavi. Foto Twitter @chara_cam

Le bombe perforanti

C’è poi il problema delle bombe perforanti. Secondo Michael Eisenstadt, del Washington Institute for Near East Policy, “Israele ha investito in blindature pesanti per i mezzi, ma se c’è una bomba interrata da 500 o 1.000 libbre (225-450 chilogrammi, ndr.) quella è in grado di ribaltare un blindato o sollevare da terra un tank“. “Per non parlare – ha aggiunto – dell’impatto dell’onda d’urto sull’equipaggio, ammesso che sopravviva“.

Un documento, aggiunge il giornale, parla della supervisione da parte della Forza Quds iraniana ad alcuni test di uno di questi esplosivi. Avrebbe sventrato un tank in una prova a fine gennaio a Dumayr, a est della capitale siriana Damasco. In questo scenario, secondo quanto sostengono funzionari ed ex funzionari dell’intelligence Usa, molto è frutto del sostegno che l’Iran fornisce da molto tempo ad Hamas.

Le fabbriche sotterranee

Inoltre, con tecnologia iraniana, Hamas ha costruito fabbriche sotterranee in grado di produrre razzi e droni. Funzionari statunitensi e israeliani affermano che le componenti chiave, esplosivi e circuiti elettrici, giungono nella Striscia di Gaza tramite i tunnel o lasciati da imbarcazioni al largo della costa di Gaza. Hamas – conclude il Post – ha dimostrato di essere all’altezza dal punto di vista della tecnologia. Il 7 ottobre ha già colto di sorpresa Israele e le sue difese. E, sintetizza Lenny Ben-David, ex vice capo missione dell’ambasciata israeliana a Washington: “Questa è la guerra asimmetrica del XXI secolo“.

Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri

Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore.

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