CinemaPrimo piano

“Palazzina LAF” di Michele Riondino: una storia di verità alla Festa del Cinema di Roma

In anteprima alla kermesse capitolina il film che parla delle vicende di Taranto con la colonna sonora di Diodato

La Festa del Cinema di Roma 2023 presenta l’opera prima di Michele Riondino alla regia: Palazzina LAF. Un film con Elio Germano, Vanessa Scalera, Domenico Fortunato, Gianni D’Addario, Michele Sinisi, Fulvio Pepe, Marina Limosani, Eva Cela, Anna Ferruzzo e con la partecipazione di Paolo Pierobon. Una storia che racconta una realtà. Vicende umane di cui il regista ha voluto raccontare l’altra faccia, la vera faccia.

Michele Riondino presenta Palazzina LAF la sua opera prima alla regia in un film dedicato a Taranto. La sua città, quella da cui è partito per inseguire la carriera da attore, ma alla quale è rimasto legato per le vicende, per i racconti di un passato che l’ha ferita, lasciando strascichi ancora oggi. In uscita il prossimo 30 novembre con Produzione Palomar, Bravo e Bim Distribuzione con Rai Cinema. Una coproduzione Italo-Francese con Paprika Films.

Palazzina LAF di Michele Riondino
Cast di Palazzina LAF di Michele Riondino @Crediti Ufficio Stampa Festa del Cinema di Roma – VelvetMag

In scena, tra gli altri, anche attori che hanno tenuto a rappresentare e raccontare la loro terra come Vanessa Scalera, che nella conferenza stampa per l’anteprima alla Festa del Cinema di Roma ha raccontato: “Volevo esserci“. E completa il quadro la delicata, ma incisiva, colonna sonora di Diodato, dal titolo tutt’altro che casuale: “La mia terra“. Che nel film si alterna alla marcia funebre che omaggia i defunti: tutti quelli che a Taranto, nell’ILVA hanno perso la vita.

La verità di Palazzina LAF raccontata da Michele Riondino

Palazzina LAF è un insieme di storie, di realtà, di verità che si uniscono in un’unica storia, in un’unica realtà, in un unico racconto. Michele Riondino ha voluto scavare a fondo le vicende della Palazzina LAF, reparto confine in cui erano, concretamente, confinati alcuni dipendenti dell’Ilva di Taranto. Un luogo in cui piegare psicologicamente un uomo significava spaventare tutti gli altri. Come ha raccontato Giuseppe Palma, uno degli uomini che in quella palazzina ci è passato: piegarne 80, tra i tecnici, gli altamente qualificati, gli esperti, voleva dire piegarli tutti. Questi ‘reparti lager‘ nascevano con il progetto di ottimizzare gli introiti ed eliminare il sindacato e si sono trasformati in posti in cui la violenza psicologica s’insinuava come una macchia d’olio e stravolgeva la vita di chi ne veniva coinvolto e non solo.

Palazzina LAF è un doppio pugno che arriva dritto al petto e allo stomaco: sconvolge per la sua genuina ‘ingenuità’ e che spaventa per la sua invadente verità. Con Maurizio Braucci, Michele Riondino riesce a ricostruire una vicenda che ha avuto le sue radici in un passato, neanche troppo remoto, ma che ha portato le evidenti conseguenze (e non solo a livello ambientale) di cui ancora oggi si paga lo scotto. Al cinema arriva il racconto di vite vere, di testimonianze reali, che rivelano il vero volto di una situazione a lungo celata. In conferenza stampa Michele Riondino spiega di aver voluto raccontare qualcosa che andasse alla genesi dei problemi. Palazzina LAF è: “Un film politico, ideologico e anche di parte, ma è un film che racconta fatti veri. Sono tutte storie vere, tutta realtà“.

Un ‘Fantozzi’ che non fa più ridere

Raccontare il surreale partendo da un personaggio che Rondino ha definito ‘metal-mezzadro‘. Proprio per definire una cultura particolare: il contadino che entra a far parte della vita industriale. E questo è Caterino, interpretato proprio dal regista, che fa la spia per entrare nelle grazie del suo capo, ma nel frattempo è combattuto dal desiderio di essere amico degli altri. Un uomo pervaso dagli incubi, ma che crede di fare la cosa giusta. Ingenuità, ignoranza e rappresentazione di una cultura popolare (vedi le scene dell’incubo di Caterino/Giuda nella celebre Processione dei Misteri che si tiene a Taranto durante le celebrazioni del venerdì santo, n.d.r.) che vive, spesso, sotto la minaccia della manipolazione, per poi ritrovarsi a sua volta vittima inconsapevole.

Elio Germano e Michele Riondino
Elio Germano e Michele Riondino in Palazzina LAF @Crediti Ufficio Stampa Festa del Cinema di Roma – VelvetMag

Ciò che restituisce la potenza di questo racconto cinematografico è, poi, il suo linguaggio quasi allegorico. “È stato complesso svuotare di retorica la storia” ha spiegato il regista, che aggiunge: “Sarebbe stato facile raccontare la storia con una chiave drammatica“. Ma, invece, Caterino è la maschera di Fantozzi, di quel Fantozzi che però, guardato da un’altra prospettiva, non fa più ridere, ma piuttosto fa riflettere. Un gioco di maschere per restituire le anime, i personaggi, o meglio le persone, protagoniste della vicenda. C’è un’umanità che esplode in questo film, dove l’essere costretti alla limitazione, il confinamento, l’umiliazione, scava a poco a poco, come una goccia in testa, fino a condurre alla follia, alla depressione e alla disperazione.

Un caso che introduce ufficialmente il termine mobbing

Michele Riondino vuole raccontare tutto questo e allo stesso tempo vuole costruire un continuo e velato rimando al presente con espedienti specifici che rendano noto ciò che è successo poi a Taranto. Uno fra tanti il PM donna presente nella sceneggiatura del film che, in realtà, è un omaggio alla Giudice Patrizio Todisco, colei che nel 2012 ha disposto il sequestro dell’Ilva di Taranto. Palazzina LAF è la storia di un caso giudiziario che ha fatto scuola nella giurisprudenza del lavoro. “79 lavoratori altamente qualificati costretti a passare intere giornate in quello che loro stessi hanno definito in tribunale ‘una specie di manicomio“. Con questo processo viene finalmente introdotto nell’ordinamento giuridico italiano il concetto di mobbing.

Ai lavoratori ‘confinati’ non è chiesto di produrre, ma di trascorrere le giornate senza fare niente, guardando il soffitto o girandosi i pollici, fino a quando quel lento, prolungato stato di inazione non diventa una forma estrema di violenza contro la propria mente e il proprio corpo. In breve, il confinato diventa monito per tutti gli altri, per tutti quelli, cioè, che continuano a lavorare alla catena. Se non ti comporti bene, ecco cosa ti aspetta… Allo stesso tempo, chi è spedito in un reparto confino è costantemente esposto al ricatto di passare dal confinamento al licenziamento, di cadere dalla padella nella brace“. Queste le parole del giornalista e scrittore Alessandro Leogrande che avrebbe dovuto co-firmare la sceneggiatura insieme a Michele Riondino e a Maurizio Braucci. Ed anche per questo il film vuole essere un’omaggio alla sua opera come ha rivelato il regista in una nota di regia.

Riondino
Caterino, il personaggio di Michele Riondino in Palazzina LAF @Crediti Ufficio Stampa Festa del Cinema di Roma – VelvetMag

Sinossi del film

1997. Caterino, uomo semplice e rude è uno dei tanti operai che lavorano nel complesso industriale dell’Ilva di Taranto. Vive in una masseria caduta in disgrazia per la troppa vicinanza al siderurgico e nella sua indolenza condivide con la sua giovanissima fidanzata il sogno di trasferirsi in città. Quando i vertici aziendali decidono di utilizzarlo come spia per individuare i lavoratori di cui sarebbe bene liberarsi, Caterino comincia a pedinare i colleghi e a partecipare agli scioperi solo ed esclusivamente alla ricerca di motivazioni per denunciarli.

Ben presto, non comprendendone il degrado, chiede di essere collocato anche lui alla Palazzina LAF, dove alcuni dipendenti, per punizione, sono obbligati a restarvi privati delle loro consuete mansioni. Caterino scoprirà sulla propria pelle che quello che sembra un paradiso, in realtà non è che una perversa strategia per piegare psicologicamente i lavoratori più scomodi, spingendoli alle dimissioni o al demansionamento. E che da quell’inferno per lui non c’è via di uscita.

Questo film vuole essere una sorta di affresco sociale, non vuole raccontare quello che succede oggi a Taranto, ma quello che oggi viviamo è sicuramente frutto del disinteresse di chi nel 1995 ha sacrificato un’intera città sull’altare del proprio capitale“, così Michele Riondino sintetizza le ragioni che lo hanno portato a dirigere questo film.

Francesca Perrone

  • Cultura, Ambiente & PetsMessinese trasferita a Roma per gli studi prima in Scienze della Comunicazione Sociale presso l'Università Pontificia Salesiana, con una tesi su "Coco Chanel e la rivoluzione negli abiti femminili", poi per la specializzazione in Media, Comunicazione Digitale e Giornalismo alla Sapienza. Collabora con l'Agenzia ErregiMedia, curando rassegne stampa nel settore dei rally e dell'automobilismo. La sue passioni più grandi sono la scrittura, la moda e la cultura.
    Responsabile dei blog di VelvetMAG: VelvetPets (www.velvetpets.it) sulle curiosità del mondo animale e di BIOPIANETA (www.biopianeta.it) sui temi della tutela dell'ambiente e della sostenibilità.

Pulsante per tornare all'inizio