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Lehman Brothers 15 anni dopo: difficile che si ripeta (ma i costi li pagano lavoratori)

Quest'anno il salvataggio di Credit Suisse è stato tempestivo ma sono stati licenziati in 10mila. Salvati, invece, i grandi azionisti

Avveniva 15 anni fa, a metà settembre 2008, il crollo di Lehman Brothers. Fu la maggiore bancarotta della storia, quella della quarta banca statunitense, sommersa dai mutui subprime. Un fallimento che però ha trascinato con sé la finanza mondiale. Si scatenò una crisi economica in tutto l’Occidente e nel resto del mondo.  

Il 15 settembre del 2008 Lehman Brothers gettava la spugna e ricorreva al Chapter 11 del Bankruptcy Code degli Stati Uniti dicendo addio alla finanza globale e scatenando una recessione planetaria. In pratica la crisi peggiore dalla Grande Depressione del 1929. Il fallimento di Lehman è diventato un caso di studio sui libri di scuola ma tormenta ancora i sonni delle Borse e delle delle autorità statunitensi (e non solo).

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Enormi banconote davanti alla Commerzbank a Francoforte durante una protesta nel 15° anniversario del fallimento della Lehman Brothers. Foto Ansa/Epa Ronald Wittek

Incubo latente

Nei 15 anni dal collasso a oggi un’ondata di regole si è abbattuta sul settore bancario e tuttavia si sono verificati vari momenti ‘Lehman’ che hanno fatto tremare l’economia internazionale, ormai profondamente interconnessa a tutti i livelli. A riportare alla ribalta l’incubo ci sono stati nei primi mesi del 2023 il ‘salvataggio‘ in extremis di Credit Suisse in Svizzera e il fallimento di Silicon Valley Bank negli Usa. Si è temuto il peggio: un nuovo shock al sistema, dalle conseguenze imprevedibili.

Nel 2008 erano stati i crediti inesigibili dei mutui subprime a spingere Lehman verso il fallimento, causando un effetto domino che non ha risparmiato nessuno. Lo scorso marzo a innescare negli Usa la crisi di Svb – la banca simbolo della Silicon Valley – è stato il rialzo dei tassi di interesse. Ma anche la mancanza di preparazione rispetto all’aggressiva stretta dei tassi da parte della Fed, la banca centrale americana. Fortunatamente i timori si sono rivelati infondati. I problemi di Svb, Signature Bank e First Republic non hanno contagiato l’industria bancaria che, grazie alle regole varate nel 2008 e nel 2009, è più solida e meglio capitalizzata.

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Foto Twitter @RunAtOnce

Tornano le banche ‘troppo grandi’

Come allora, però, c’è il nodo delle cosiddette banche too big to fail: ‘troppo grandi per fallire’. Se dopo Lehman la tendenza era stata ad evitare di creare giganti del credito, ora il trend è ripreso con forza. I maggiori istituti americani sono ancora più grandi di quanto non lo fossero nel 2008 grazie in parte a una deregulation negli anni di Trump presidente che li ha favoriti. Nei 15 anni trascorsi da quella che è stata una delle giornate più nere della storia di Wall Street, la Fed ha tuttavia confermato in più di un’occasione di essere un ‘salvatore di ultima istanza’. Lo è stata nel 2020 quando con il Covid ha varato una nuova serie di misure senza precedenti per evitare la crisi seguita alla chiusura dell’economia mondiale. Manovre che la costringono ora a un gioco di equilibrismo fra la lotta all’inflazione e la necessità di scongiurare una recessione.

La lezione di Lehman

Ma la lezione del fallimento di Lehman Brothers è servita? Un altro caso del genere è ancora possibile? “Lehman – spiega all’Agi Vincenzo Bova, senior analist di Mps – si sarebbe potuta salvare nel 2008 se le autorità americane fossero intervenute in tempo. Ma non hanno voluto farlo. Lehman è fallita, trascinandosi dietro una crisi epocale. È stato un errore, poi se ne sono accorti e per rimediare a tutto quello che il fallimento di Lehman ha scatenato, si è dovuto intervenire in modo pesante. Penso che quell’errore difficilmente si ripeterà. I governi e le banche centrali hanno imparato la lezione. L’abbiamo visto a marzo di quest’anno in Svizzera con Credit Suisse e negli Stati Uniti con la crisi delle banche regionali“. È vero però che per salvare Credit Suisse i costi sociali dell’operazione sono stati altissimi, scaricati sui lavoratori, licenziati in massa.

Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri

Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore.

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