Come stanno le cose in Iran dopo mesi di rivolte a seguito della morte di Mahsa Amini, un anno fa? Come si ricorderà, la ragazza, 22 anni, fu arrestata e uccisa a Teheran fra il 13 e il 16 settembre 2022 dalla polizia morale della teocrazia islamica perché “non indossava correttamente il velo“. “Preferisco dover lavare i cadaveri che obbedire alle leggi sull’hijab obbligatorio” scrive oggi una donna alla giornalista e attivista in esilio Masih Alinejad. Lavare cadaveri nei cimiteri è una forma di punizione per le donne. 

La violenza della repressione ha piegato le proteste dei giovani contro l’obbligo del velo sul capo delle donne, pur non spezzandole del tutto. Tuttavia molte iraniane hanno rialzato la testa. E non hanno paura di sfidare la follia del regime, continuando a scendere in strada senza hijab e accettando il rischio di essere picchiate, arrestate, torturate, uccise.

Una delle immagini simbolo delle proteste in Iran per i diritti delle donne. Foto Twitter @AmnestyIran

Protesta per i diritti

In Iran le autorità condannano le donne che si rifiutano di indossare il velo al carcere o a lavare i cadaveri nei cimiteri, o, ancora, a subire una ‘terapia’ indesiderata per convincersi della necessità di portare lo hijab. Una ciocca di capelli fuori posto scatena ancora il fanatismo di molti uomini: dalle guardie della rivoluzione ai mullah, passando per i cittadini comuni.

Tuttavia, dopo un anno di rivolte, l’Iran non è più lo stesso paese di prima. La teocrazia non sembra avere davanti a sé un grande futuro. Lo slogan Donna, vita, libertà è risuonato nelle strade di tutto il paese. Nelle aule scolastiche come sui luoghi di lavoro. Donne e uomini hanno manifestato fianco a fianco per reclamare i propri diritti.

La risposta delle autorità è stata feroce. “Abbiamo raccolto le prove di centinaia di uccisioni illegali e decine di migliaia di arresti arbitrari” afferma sul suo sito Amnesty International. Non solo. Esistono prove di “torture, stupri delle detenute, intimidazioni nei confronti delle famiglie delle vittime della repressione“. Però “non c’è stata una sola indagine per i crimini commessi durante e dopo la rivolta“.

Donne senza velo perseguitate

Nonostante mesi di proteste contro il velo obbligatorio, le autorità dell’Iran non solo non hanno accolto le richieste di cambiamento, ma hanno addirittura ripristinato le operazioni di politiche in nome della “morale“. Soprattutto hanno introdotto una serie di nuove misure che privano dei loro diritti le donne e le ragazze che si rifiutano di indossare il velo. Provvedimenti discriminatori che comprendono il sequestro delle automobili, il divieto di accesso al lavoro, all’istruzione, alle cure mediche, ai servizi bancari e ai trasporti pubblici.

Iran, uccisi anche minorenni

Nell’ultimo anno la pena di morte è divenuta più che mai strumento di repressione per terrorizzare la popolazione. Per Amnesty International 7 manifestanti sono stati impiccati al termine di processi “vergognosamente irregolari“. Sono “decine le persone a rischio di essere condannate a morte in relazione alle proteste“. Tra settembre e dicembre del 2022, le forze di sicurezza hanno scatenato una brutale repressione di tipo militare, uccidendo illegalmente centinaia di manifestanti e persone che assistevano alle proteste. Compresi decine di ragazzi minorenni. Oltre la metà delle persone uccise apparteneva alle minoranze etniche oppresse dei baluci e dei curdi. La stessa Mahsa Amini era di origine curda.

Una manifestante a Berlino nel 2022 tiene in mano un cartello con l’immagine di Mahsa Amini. Foto Ansa/Epa Clemens Bilan

Gli avvelenamenti

Le forze di sicurezza hanno illegalmente sparato proiettili veri e pallottole di metallo per disperdere e terrorizzare le persone che manifestavano. Alle donne, in particolare, hanno sparato spesso, deliberatamente, agli occhi, al volto e ai genitali. Migliaia di manifestanti, minorenni inclusi, hanno subito torture in carcere. Durante la rivolta e nei mesi successivi, sono scattati arresti di massa per decine di migliaia di donne e uomini, anche minorenni. E sarebbero migliaia le studentesse avvelenate dagli sgherri della Repubblica islamica. Nelle carceri dell’Iran ci sono inoltre, oggi, almeno 90 tra giornalisti e altri operatori dell’informazione e 60 avvocati, compresi quelli che rappresentavano le famiglie dei manifestanti uccisi.