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Alemanno contro Meloni, a destra nasce una ‘Rifondazione sovranista’

Con l'opposizione a pezzi, la premier deve guardarsi le spalle. La destra sociale dell'ex sindaco di Roma ha fiutato il suo momento e adesso morde

A meno di un anno dal suo insediamento a Palazzo Chigi, Giorgia Meloni rischia di cadere vittima di una classica sindrome italiana. E cioè che sono i tuoi ‘amici’ politici che cercheranno di farti cadere, molto più dei tuoi avversari.      

Detto che a sinistra vantano una storia da film su questo – si pensi all’ “Enrico stai sereno” col quale l’allora neo-segretario del PD, Matteo Renzi, fece cadere il premier Enrico Letta, suo collega – adesso è a destra che si gioca la partita, sia pure da una prospettiva un po’ differente.

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Gianni Alemanno. Foto Twitter @AlemannoTW

L’ex ministro dell’Agricoltura dei governi Berlusconi, ed ex sindaco di Roma, Gianni Alemanno, ha infatti suonato la carica. E sta chiamando a raccolta un’opposizione interna alla destra da cui egli proviene, così come Meloni. L’obiettivo è semplice e chiaro: contrastare il rinnovamento in senso moderato e conservatore del post-fascismo italiano, che la premier sta portando avanti nel tentativo di ‘purgarlo’ e ancorarlo a una sorta di neo-gollismo sovranista in salsa europea.

Fini e Meloni, la storia si ripete?

Un disegno che nella destra italiana, erede diretta del Movimento sociale italiano – Destra nazionale (come si chiamava l’Msi, la formazione di Giorgio Almirante nella prima repubblica) non è riuscito se non in parte. Negli Anni Novanta ci provò il delfino di Almirante, Gianfranco Fini, che s’inventò Alleanza Nazionale. Se lo ascoltavi a un comizio, appariva un tranquillo moderato rispetto al clima di nostalgico reducismo da repubblica di Salò di molti di coloro che lo applaudivano. Fini si sa com’è finito. Giocò la carta di un neo-gollismo conservatore europeista e antifascista. In un’epoca in cui il termine sovranismo non esisteva, nel tentativo di strappar via per sempre la destra italiana dalle grinfie del fantasma di Mussolini.

L’ombra di Berlusconi

A questo scopo per anni Fini si appoggiò su Berlusconi. Il Cavaliere si è sempre vantato di avere “sdoganato i fascisti” dalla vecchia ‘conventio ad escludendum’ della prima repubblica, fin dalla candidatura del delfino di Almirante a sindaco di Roma, contro Rutelli, nel 1993. Salvo poi scagliare platealmente il suo anatema contro il fondatore di Alleanza Nazionale dal palco del Pdl nel 2010 (il famoso “Che fai, mi cacci?“, dalla risposta di Fini).

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Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi nel 2013. Foto Ansa

Stretto fra il persistente, e a tutt’oggi più vivo che mai, reducismo missino di molti ambienti di destra, e la spregiudicatezza berlusconiana – che si ammantò anche del triste dossieraggio sul famigerato appartamento di Montecarlo del cognato di Fini – l’ex delfino di Almirante, divenuto presidente della Camera, uscì dall’arena politica con le ossa rotte. Fu in pratica affossato dal suo stesso schieramento politico. Abbandonato da molti compagni di militanza dei tempi andati.

La strategia anti Meloni

L’Italia è un paese in perenne campagna elettorale, dove i governi durano in media non più di un paio d’anni e le elezioni sono un rito a cadenza regolare. Fra le elezioni politiche del 25 settembre 2022 e le europee del giugno 2024 il tempo sta passando. Giorgia Meloni deve prepararsi. Chi intanto si sta preparando è la cosiddetta destra sociale di Gianni Alemanno, un uomo politico di lungo corso che sembrava ibernato in un limbo.

In realtà l’ex ministro, come Fabio Massimo il Temporeggiatore, ha atteso il suo momento e ora si prepara a logorare ai fianchi Meloni per tornare sulla scena della grande politica. Nel Centrodestra è infatti piuttosto vivace la sfida tra la premier e Salvini per la leadership della coalizione. La morte di Silvio Berlusconi ha aperto le danze e affilato i coltelli. Il leader della Lega studia le possibili mosse per strappare voti a Fratelli d’Italia. L’ultima idea coinvolge proprio un ex colonnello di Alleanza Nazionale: Gianni Alemanno, a cui la Lega potrebbe offrire una candidatura alle europee. Una strategia – sostiene Repubblica – che sfrutta gli imbarazzi di Meloni, come sul caso De Angelis per la strage di Bologna. Ma anche e soprattutto diverse visioni del sovranismo nostrano.

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Giorgia Meloni. Foto Ansa/Chigi Filippo Attili

Una ‘Rifondazione’ a destra

Si chiama Forum dell’indipendenza italiana il movimento appena fondato dall’ex sindaco di Roma. A fine luglio ha debuttato a Orvieto. Un migliaio di persone riunite in rappresentanza di 38 sigletutte pescate nell’area del dissenso diffuso“, con l’obiettivo di marcare la distanza dall’attuale corso di Fratelli d’Italia, sempre più lontano dallo spirito originario della destra sociale. Un soggetto non ancora politico, ma pronto a ottobre a farsi partito per intercettare i delusi di ogni provenienza politica. Secondo Alemanno Giorgia Meloni “ha rotto il precario equilibrio che a destra c’è sempre stato tra conservatori e liberisti da una parte e destra sociale e sovranisti dall’altra. Lei ormai ha scelto il campo dei conservatori, noi restiamo nell’altro“. Palazzo Chigi è avvisato.

Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri

Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore.

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