In Italia le donne continuano a ricevere salari più bassi, in media dell’11%, rispetto ai colleghi uomini. È così che il binomio donne e lavoro resta complicato e risulta essere tutt’altro che al passo col resto d’Europa. Lo testimoniano i dati resi noti dalla Banca d’Italia.

In realtà, certifica Palazzo Koch, il divario fra donne e uomini comincia fin dagli anni scolastici. Le ragazze, mediamente più capaci, tendono a scegliere percorsi di studio associati a rendimenti inferiori nel mercato del lavoro. E le differenze si accentuano soprattutto dopo la nascita dei figli.

La Vicedirettrice generale della Banca d’Italia, Alessandra Perrazzelli. Foto Twitter @bancaditalia

Donne e maternità

È il quadro descritto dalla vicedirettrice generale della Banca d’Italia, Alessandra Perrazzelli, al convegno Le donne, il lavoro e la crescita economica il 22 giugno. Perrazzelli ha sottolineato come “la bassa partecipazione femminile al mercato del lavoro limiti le prospettive di crescita economica dell’Italia“. La probabilità per le donne italiane di non avere più un impiego nei due anni successivi alla maternità è quasi doppia rispetto alle donne senza figli.

Nonostante le recenti tendenze positive “i progressi registrati durante lo scorso decennio sono del tutto insufficienti” dice ancora la dirigente di Banca d’Italia. “Il tasso di partecipazione femminile si colloca oggi su un livello particolarmente basso nel confronto europeo. Inferiore di quasi 13 punti percentuali rispetto alla media dell’Unione. È ancora al di sotto di quel 60% che si considera come obiettivo da raggiungere entro il 2010 nell’Agenda di Lisbona e per l’Agenda Europa 2020.” L’Italia avrebbe potuto allinearsi “alla partecipazione femminile media europea” al mercato del lavoro.

Il tasso di disoccupazione

Perrazzelli ha poi ricordato che nel 2012, in Italia “il tasso di partecipazione delle donne al mercato del lavoro era pari al 53,2%, 20 punti inferiore rispetto a quello maschile. Nei dieci anni successivi il tasso di attività femminile è aumentato di 3,3 punti, il doppio di quello degli uomini, e nel primo trimestre del 2023 ha raggiunto il livello più alto dall’inizio delle serie storiche, il 57,3%.” Questa tendenza positiva “la si deve inquadrare – ha aggiunto – nel complessivo miglioramento della qualità del capitale umano. Già da almeno un paio di decenni le donne sono circa il 56% dei laureati ogni anno. Nel 2022 le laureate in discipline scientifiche e tecnologiche sono state circa il 20% in più rispetto al 2012. Un ulteriore tangibile risultato positivo riguarda la presenza femminile negli organi di amministrazione delle società quotate, pari a circa il 43% nel 2022 a fronte del 7,4%. Tale aumento è principalmente attribuibile all’attuazione della legge Golfo-Mosca“.

Cresce ma non abbastanza la presenza femminile sul lavoro in Italia. Foto Twitter @Diariolavoro

Laurea e divario salariale

La situazione più difficile resta quella del Sud. “Nel Mezzogiorno, a tassi di partecipazione particolarmente bassi per entrambi i generi si associa un divario fra uomini e donne pari a oltre 25 punti percentuali nel primo trimestre di quest’anno” ha dichiarato Perrazzelli. Anche i dati relativi ai successi delle donne laureatesi devono interpretare secondo una visuale più ampia. Nonostante la crescita registrata nel numero di laureate, le donne che si laureano in materie scientifiche sono ancora solo il 15% delle laureate totali.

Il divario salariale tra uomini e donne, poi, “si attesta in media intorno al 10%: un livello solo di poco inferiore a quello stimato per il 2012. Le carriere delle donne sono particolarmente lente e discontinue. La maggiore presenza delle donne nelle società quotate non ha indotto significativi cambiamenti nella composizione dei vertici delle società sottoposte alla normativa sulle quote di genere“, ha aggiunto.