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La pace non è una resa, è un fiore fragile da far crescere

Così, da un lato il presidente brasiliano Lula, e dall'altro papa Francesco, cercano una strada per far cessare la guerra in Ucraina

Alla guerra senza un’attimo di pace della Russia in Ucraina ci siamo ormai assuefatti. Tuttavia dopo 16 mesi di stragi di civili, torture ed eccidi efferati, bambini deportati, decine di migliaia di soldati uccisi, bombardamenti indiscriminati e città rase al suolo la parola pace riappare all’orizzonte.

Riappare come “un fiore fragile“, per dirla con le parole che papa Francesco ha rivolto al presidente del Brasile, Luiz Inacio Lula da Silva, in visita a Roma il 22 giugno. Un fiore fragile occorre proteggerlo, se si vuole che sopravviva, e prendersene cura se si aspira a farlo crescere perché diventi grande e splendente.

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Lula e Papa Francesco. Foto Ansa/VelvetMag

Così appare la pace in Ucraina. Una bella ma ancora troppo debole speranza di superamento della guerra e riconciliazione di due popoli ‘fratelli’, destinati altrimenti a odiarsi per i prossimi decenni. Al tempo stesso la pace, alla metà del secondo anno di guerra in Ucraina, non la si deve vedere come un arrendersi agli invasori.

La pace secondo Lula

Il presidente Lula lo ha detto a Roma rispondendo alle domande dei cronisti: “la pace non è una resa.” Ha dovuto, cioè, pronunciare un’affermazione ovvia per lanciare un messaggio che oggi, dopo 16 mesi di morte e distruzione che neppure per un istante accennano a fermarsi, appare quasi profetico. Da un accordo di pace, ha detto ancora Lula, “entrambe le parti devono guadagnare qualcosa” ma soltanto “gli ucraini e i russi sanno cosa è necessario” per siglare un’intesa. “Non possiamo pensare che questa guerra sarà infinita, i due presidenti, Putin e Zelensky, devono incontrarsi“.

Le nuove Nazioni Unite

La cornice in cui potrebbe, secondo Lula, realizzarsi un dialogo fra i due paesi in guerra è quella di una ONU radicalmente rinnovata. Le Nazioni Unite oggi a cosa servono, al di là di una benemerita politica di assistenza umanitaria alle popolazioni nelle aree di crisi di mezzo mondo? Sul piano politico e istituzionale quanto incidono a livello planetario? Poco, per non dire nulla.

Non ci sono più le Nazioni Unite degli Anni Cinquanta, guidate da Dag Hammarskjöld ma neppure quelle degli Anni Ottanta, di Javier Pérez de Cuéllar, il Segretario che compì una storica mediazione di pace fra Iran e Iraq contribuendo alla fine di una guerra lunga e sanguinosa.

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Il presidente del Sudafrica, Cyril Ramaphosa. Foto Ansa/Epa

“La geopolitica del 1945 non esiste più…”

Per Lula il ‘fiore fragile della pace’ che “non è una resa” può crescere se anche l’ONU cambia. E si trasforma. “Dobbiamo avere delle Nazioni Unite nel cui Consiglio di sicurezza siano stabilmente presenti anche l’India, i paesi africani” ad esempio, ha detto nella conferenza stampa di Roma. “La geopolitica del 1945, quando l’ONU è nata, non esiste più. Dobbiamo ridare importanza all’ONU che ha avuto la capacità di creare lo Stato di Israele ma non lo Stato della Palestina

Pace, il Sudafrica e il Vaticano

Non è un caso che Lula, nel parlare di pace e riforma dell’ONU abbia citato i paesi africani. In giugno il presidente del Sudafrica, Cyril Ramaphosa, si è recato a Mosca e Kiev per tentare di avviare un dialogo. Così il mese di luglio comincia sotto qualche fragile auspicio di pace, considerato inoltre che l’inviato speciale del Papa, il cardinale Matteo Zuppi, ha incontrato Zelensky e ha l’obiettivo di incontrare anche Putin.

Dalle sue parole e più ancora da quelle del Segretario di Stato del Vaticano, cardinale Pietro Parolin, traspare non ottimismo ma realismo. “Per la pace nutro una speranza realista” ha argomentato il 21 giugno Parolin. “Nel senso che dobbiamo continuare a offrire canali di pace con la mediazione e i buoni uffici, ma non mi pare che attualmente ci siano grandi prospettive che queste offerte siano accettate“. Il rischio è che i contendenti intendano vincere a tutti i costi sul terreno militare, cosa forse impossibile. E che la guerra allora prosegua a bassa intensità e a tempo indefinito. Ma il tempo, e lo stesso logoramento della Russia da un lato e dell’Ucraina dall’altro, lavorano, a loro modo, per quel fiore fragile che si chiama pace.

Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri

Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore.

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