Sulla questione migranti la premier Giorgia Meloni sarà l’11 giugno in Tunisia. Ci sarà un incontro con le autorità del paese nordafricano assieme alla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e al premier olandese, Mark Rutte. Oggetto del vertice: ottenere una facilitazione ai rimpatri di profughi e richiedenti asilo respinti dall’Europa. 

Sul tema migranti il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, dice la sua. E sostiene come si assista già a un “rallentamento delle partenze“. Il fatto è che dall’inizio di quest’anno, in coincidenza con l’avvento al potere del Governo Meloni, i flussi di migranti verso l’Italia dall’Africa, dal Medio Oriente e dall’Asia – in fuga da guerre, miseria e fame – sono cresciuti a dismisura. Molto più di un anno fa.

La premier Giorgia Meloni con il presidente tunisino Kais Saied il 6 giugno. Foto Ansa/Chigi Filippo Attili

L’Italia si affida alla Tunisia

Per questo Meloni vola in Tunisia a distanza di meno di una settimana dal suo precedente viaggio, il 6 giugno. Questa volta si reca a Tunisi insieme a Ursula von der Leyen, in cerca del via libera ai rimpatri. Quello che non riesce con la Libia – il blocco dei flussi di migranti – il Governo spera possa riuscire col paese dal quale parte il maggior numero di persone in questo momento. Secondo il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, “il viaggio della premier insieme alla presidente della Commissione europea dimostra la leadership italiana sui temi migratori e nei rapporti con i Paesi terzi.” In Tunisia si decide “la vera sfida dell’Unione europea: la cooperazione allo sviluppo con i paesi africani da cui originano e transitano i flussi.”

Aiuti economici e riforme che il Fondo monetario internazionale (Fmi) ha richiesto, “devono andare di pari passo. È importante che nessuno abbia nei confronti di Tunisi un atteggiamento pregiudiziale e pedagogico“, afferma Piantedosi al quotidiano Il Messaggero. Alla domanda se il prestito europeo da 900 milioni si debba erogare senza attendere il via libera del Fondo monetario internazionale, il ministro risponde: “Certo. Il nostro auspicio è che l’Unione si muova subito. Lo stallo è un rischio, c’è bisogno di ammorbidire i toni da tutte le parti. La Tunisia deve sentire la voce amica, non ostile, dell’Europa e delle istituzioni internazionali.”

Il regime di Saied

Secondo molti osservatori il regime tunisino si appresta a chiedere a Meloni e Von der Leyen un trattamento ‘alla turca: ovvero miliardi di euro per garantire il blocco dei flussi dei migranti verso il Nord del mondo. “La Tunisia non farà mai da guardia di frontiera” di altri paesi, ha detto il presidente tunisino, Kais Saied nel corso di una visita a Sfax, la città portuale da tempo principale punto di partenza dei barconi di persone povere e disperate verso l’Italia.


Una protesta dello scorso febbraio contro il presidente tunisino Kais Saied dopo la sua dichiarazione contro i migranti africani, secondo cui la loro presenza è stata una fonte di “violenza e crimini” a Tunisi. Foto Ansa/Epa Mohamed Messara

Siamo tutti africani. Questi migranti sono nostri fratelli e li rispettiamo, ma la situazione in Tunisia non è normale e dobbiamo porre fine a questo problema. Rifiutiamo qualsiasi trattamento disumano di questi migranti che sono vittime di un ordine mondiale che li considera come ‘numeri’ e non come esseri umani. Ma l’intervento su questo fenomeno deve essere umanitario e collettivo, nel quadro della legge” ha poi aggiunto Saied.

Tunisia, il golpe de facto del 2021

Un colpo al cerchio e uno alla botte, insomma. Sembra quasi che Saied voglia alzare la posta in gioco per ottenere dalla comunità internazionale più fondi in denaro e più garanzie al suo potere e al ruolo della Tunisia nel Mediterraneo. Il presidente è sotto accusa da parte degli oppositori e dei media internazionali per aver di fatto compiuto un colpo di Stato nel 2021. Dopo aver sciolto il Parlamento e fatto riscrivere la Costituzione in senso restrittivo e accentratore, adesso accoglie i partner italiani, olandesi ed europei e si prepara a contrattare. Ma troverà i suoi interlocutori già pronti alla piena disponibilità. Il pacchetto da 900 milioni di euro fa gola e sarà soltanto un inizio. Si tratta di denaro che potrebbero impedire il default dello Stato tunisino. Cosa che, se avvenisse, rappresenterebbe un fattore di destabilizzazione nell’area nordafricana del tutto indesiderato dai paesi ricchi dell’Europa. A cominciare dall’Italia e per non parlare della Grecia, alle prese con una gestione dei profughi al centro di forti critiche.