L’ex premier D’Alema indagato a Napoli per una vendita di armi alla Colombia
Avrebbe fatto da intermediario per una transazione mai avvenuta. I pm lo accusano di corruzione internazionale aggravata assieme ad altri indagati
L’ex presidente del Consiglio e ministro degli Esteri Massimo D’Alema e l’ex ad di Leonardo, Alessandro Profumo, sono sotto inchiesta. La procura di Napoli indaga su di loro e su altre 6 persone per verificare un’ipotesi di reato di corruzione che riguarda la presunta intermediazione per la vendita allo Stato sudamericano della Colombia di navi, sommergibili e aerei militari.
Si tratta di prodotti delle aziende Fincantieri e Leonardo, due colossi di settore partecipati dallo Stato italiano. La vicenda era già emersa alle cronache all’inizio del 2022 ma è adesso che si è formalizzata la chiusura delle indagini. Oltre all’ex presidente del Consiglio, 74 anni, e all’ex amministratore di Leonardo, 66 anni, sono indagati i due broker pugliesi Francesco Amato, 39 anni, ed Emanuele Caruso, 44 anni. Vi sono inoltre l’ex responsabile della Divisione Navi militari di Fincantieri, Giuseppe Giordo, 58 anni, il commercialista Gherardo Gardo, 52 anni, Giancarlo Mazzotta, 53 anni, e Umberto Claudio Bonavita, 50 anni.
D’Alema indagato
Secondo l’ipotesi della procura partenopea, l’ex premier D’Alema, che da anni non è più in Parlamento e lavora nell’ambito delle società di consulenza, si sarebbe adoperato per mettere in contatto i due broker pugliesi con Leonardo e Fincantieri. Nell’ambito delle indagini la Digos di Napoli ha effettuato perquisizioni nelle abitazioni e negli uffici di D’Alema e Profumo. Perquisizioni anche per Giordo.
Nel decreto di perquisizione, riporta Adnkronos, si legge che Francesco Amato ed Emanuele Caruso “operavano quali consulenti per la cooperazione internazionale del Ministero degli Esteri della Colombia.” E “tramite Giancarlo Mazzotta, riuscivano ad avere contatti con Massimo D’Alema, il quale per il curriculum di incarichi anche di rilievo internazionale rivestiti nel tempo si poneva quale mediatore informale nei rapporti con i vertici delle società italiane. Ossia Alessandro Profumo quale amministratore delegato di Leonardo e Giuseppe Giordo quale direttore generale della Divisione Navi Militari di Fincantieri.”
Un affare da 4 miliardi
Il valore economico delle forniture sulle quali si sono concentrate le indagini della procura di Napoli ammonta a oltre 4 miliardi di euro. Gli indagati fra cui D’Alema, si legge nel decreto, si sarebbero “a vario titolo adoperati quali promotori dell’iniziativa economica commerciale di vendita al Governo della Colombia di prodotti delle aziende italiane a partecipazione pubblica Leonardo (in particolare aerei M 346) e Fincantieri (in particolare corvette, piccoli sommergibili e allestimento cantieri navali). Tutto al fine di favorire ed ottenere da parte delle Autorità colombiane la conclusione degli accordi formali e definitivi aventi ad oggetto le descritte forniture. E il cui complessivo valore economico ammontava a oltre 4 miliardi di euro.”
Una presunta tangente da 80 milioni
Per ottenere ciò, secondo i pm napoletani, Amato e Caruso “offrivano e comunque promettevano ad altre persone, che svolgevano funzioni e attività corrispondenti a quelle dei pubblici ufficiali e degli incaricati di pubblico servizio presso le autorità politiche, amministrative e militari della Colombia, il corrispettivo illecito della somma di 40 milioni di euro, corrispondenti al 50% della complessiva provvigione di 80 milioni di euro.” Una somma, quest’ultima, prevista quale ‘success fee’ “determinata nella misura del 2% del complessivo valore di 4 miliardi di euro delle due commesse in gioco e da corrispondersi in modo occulto.”
La somma complessiva di 80 milioni di euro “era in concreto da ripartirsi tra la ‘parte colombiana’ e la ‘parte italiana’ attraverso il ricorso allo studio legale associato americano Robert Allen Law, con sede in Miami.” Lo studio, si precisa nel decreto dei magistrati, era stato “segnalato e introdotto dal D’Alema quale agent e formale intermediario commerciale presso Fincantieri e Leonardo.” A rappresentare i legali statunitensi in Italia erano, secondo i pm di Napoli, “per la specifica trattativa, Umberto Bonavita e Gherardo Gardo.”
Ma alla fine tutto salta
Lo studio legale, che D’Alema avrebbe introdotto, stando alle accuse, si sarebbe adoperato “per la predisposizione e la sottoscrizione della contrattualistica simulatoria e formalmente giustificativa della transazione finanziaria.” Ma anche “dei veicoli societari, bancari e finanziari in concreto predisposti per il transito, la ripartizione e la finale distribuzione della somma.” Una cifra “a cui non faceva infine seguito la formalizzazione dei contratti per l’intervenuta interruzione delle trattative.” Alla fine, secondo la ricostruzione dei fatti dei pm napoletani, tutto sarebbe saltato “a causa della mancata intesa sulla ulteriore distribuzione della predetta somma tra le singole persone fisiche costituenti la ‘parte italiana’ e la ‘parte colombiana’“.
La difesa di D’Alema
In un’intervista a La Repubblica D’Alema aveva già parlato in sua difesa, dopo le indiscrezioni di stampa sulla vicenda. Dal 2013 “io non sono più parlamentare” e “svolgo un’attività di consulenza regolare: ho una mia società e inoltre lavoro con Ernst&Young, di cui sono presidente dell’advisory board. Il mio lavoro è quello di consulenza strategica, relazioni, ma non sono uno che va a fare mediazione di vendita. Con la mia professione cerco di sostenere anche le imprese italiane all’estero.” L’ex premier aveva aggiunto di non avere “alcun rapporto di lavoro né con Fincantieri né con Leonardo“ che sono invece “importanti clienti di Ernst&Young“. E di non trattare per conto di nessuno.”