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Gianni Minà, il cacciatore di storie e la “libertà di essere come si è”

Addio al grande giornalista documentarista, morto a 84 anni. Con le sue interviste svelò l'anima dei grandi: da Alì a Maradona e da Troisi a Fidel Castro

Il giornalismo e il mondo della cultura italiani piangono Gianni Minà, scomparso a 84 anni. Minà è morto a Roma il 27 marzo nella clinica Villa del Rosario, dove era ricoverato per una malattia al cuore.”Mi hanno sempre attratto persone capaci di andare controcorrente, anche a costo dell’isolamento, della solitudine” diceva il celebre cronista.

Per lui contavano la “persone capaci di raccontare storie, di mostrare visioni altre“. “Come diceva il mio amico Eduardo Galeano ‘il cammino si fa andando’, non sai mai dove queste storie ti possano portare. È il bello della vita, tutto sommato“.

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Un’immagine di Gianni Minà tratta dal suo profilo Facebook

Minà, il ‘confessore’

Così si raccontava Gianni Minà, signore del giornalismo, oltre sessant’anni di carriera sempre fuori dal coro della mediocrità. È stato celebre per le interviste ai grandi personaggi dell’attualità, della politica, della musica, dello spettacolo e dello sport. La più nota quella fiume di 16 ore a Fidel Castro, nel 1987. Nato a Torino nel 1938, giornalista, autore, intrattenitore, conduttore, documentarista, era un appassionato dell’America Latina.

Inventò Blitz, la trasmissione che negli anni ’80 rappresentò su Rai Due il ‘rivale innovativo’ di Domenica In. Lì aveva ospitato Federico Fellini, Eduardo De Filippo, Muhammad Ali, Robert De Niro, Jane Fonda, Gabriel Garcia Marquez, Enzo Ferrari e molti altri. Minà ha realizzato centinaia di reportage e interviste per la Rai e non solo. Dai personaggi incontrati, raccontava, aveva imparato a “esercitare il pensiero critico. Anzi, il pensiero complesso, e a respirare la libertà di essere come si è, mostrando soprattutto la propria fragilità“.

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Gianni Minà in uno dei numerosi incontri con Diego Armando Maradona
Foto Faceboook/NapoliCalcioNews.it

L’incontro più bello

L’incontro più bello? “Quello con Muhammad Alì, il più grande di tutti, perché ha rotto un sistema, una cultura. All’inizio di ogni intervista, esordiva sempre con le sue idee di riscatto per il popolo nero. Enumerava tutto quello che un nero americano non era riuscito ad avere nella vita. ‘Tutti hanno una terra per la quale lottare, combattere… tutti. Solo noi, solo i neri d’America non hanno una terra di riferimento’. Purtroppo le sue battaglie non hanno prodotto grandi cambiamenti, ma non mi sento di dire che ha perso“.

Le interviste mancate

Il personaggio che avrebbe voluto incontrare senza riuscirci? “Sicuramente Nelson Mandela, ci siamo rincorsi: una volta non potevo io, una volta non poteva lui. E l’ho perso, come ho mancato l’intervista a Marcello Mastroianni, una persona gentile e ironica“. Cosa avrebbe fatto se non fosse diventato il giornalista? “Sono nato giornalista, lo sono stato, lo sono e lo sarò“, aveva sottolineato un anno fa, in occasione della presentazione al Bifest del docufilmGianni Minà – Una vita da giornalista‘.

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Da sin.: Minà, De Niro, Alì, Leone e Garcia Marquez. Foto Twitter @spicciar

Tra i suoi incontri celebri, anche quelli con Franco Battiato, Massimo Troisi e Pino Daniele. Fortissimo il rapporto con Diego Armando Maradona e Pelè. Iconica, tra le tante, resta la foto che lo ritrae gioioso a cena a Roma con Muhammad Alì, Sergio Leone, Robert De Niro e Gabriel García Marquez.

La carriera di Minà

Gli inizi della carriera nel 1959 come giornalista sportivo per Tuttosport, di cui è stato direttore dal 1996 al 1998. Poi l’approdo in Rai come collaboratore dei servizi sportivi, seguendo per la rete pubblica 5 Olimpiadi, 3 mondiali di calcio e i più importanti incontri di pugilato. Dopo aver esordito per il rotocalco Sprint, ha realizzato reportage e documentari per rubriche come Tv7, Dribbling, Odeon, Tutto quanto fa spettacolo, Gulliver ed è stato tra i fondatori del programma L’altra domenica. Per il Tg2, dal 1976, ha realizzato non solo servizi sportivi ma anche reportage dall’America Latina. Poi ha collaborato a Mixer, ha esordito come autore e conduttore di Blitz e ha condotto La Domenica sportiva e il talk show Storie.

Ha diretto la rivista letteraria Latinoamerica e tutti i sud del mondo. Collaboratore per anni di quotidiani come Repubblica, l’Unità, Corriere della Sera e Manifesto, ha scritto numerosi libri tra cui Il racconto di Fidel (1988), Un continente desaparecido (1995), Storie (1997), Un mondo migliore è possibile. Da Porto Alegre le idee per un futuro vivibile (2002), Politicamente scorretto (2007), Il mio Alì (2014), Così va il mondo. Conversazioni su giornalismo, potere e libertà (2017, con G. De Marzo), Storia di un boxeur latino (2020) e Non sarò mai un uomo comune (2021). Nel 1981 il Presidente Pertini gli ha consegnato il Premio Saint Vincent come miglior giornalista televisivo. Nel 2007 ha ricevuto il Premio Kamera della Berlinale per la carriera: il più prestigioso riconoscimento al mondo per documentaristi.

Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri

Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore.

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