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Immigrati, click day per 82mila ma sono pochi: l’Italia ha fame di manodopera

In agricoltura un prodotto su 4 è raccolto da lavoratori stagionali che giungono da Africa, Europa dell'Est e Asia

Lunedì 27 marzo è il click day per gli immigrati. Si attende infatti l’arrivo degli 82.705 lavoratori extracomunitari che il decreto flussi ha ammesso per quest’anno. Il numero è superiore di circa 13mila unità rispetto alle 69.700 del 2022. Tuttavia il fabbisogno di manodopera per l’agricoltura, in particolare, è superiore.

Dei nuovi ingressi del 2023, oltre la metà44mila contro i 42mila dello scorso anno – rappresentano le quote per il lavoro stagionale. In questo caso gli immigrati andranno a lavorare principalmente nelle aziende agricole e nel comparto turistico-alberghiero. Un numero, tuttavia, ancora basso secondo le maggiori organizzazioni di settore, secondo le quali nelle campagne italiane servirebbero 100mila addetti come minimo.

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Un’assemblea dei lavoratori bengalesi sfruttati nei laboratori tessili di Sant’ Antimo in provincia di Napoli. Foto Ansa/Ciro Fusco

Le regioni dove andranno i lavoratori

In Italia gli immigrati raccolgono un prodotto agricolo su quattro. Con 358mila lavoratori provenienti da ben 164 paesi“, rileva la Coldiretti, citando i dati del Dossier Statistico Immigrazione (Idos). Non esiste però, attualmente, una suddivisione delle quote di ingresso a livello territoriale. Sulla base delle esperienze degli ultimi anni, Coldiretti indica che le regioni in cui si concentreranno le richieste di ingresso sono le stesse nelle quali si concentrano le coltivazioni stagionali che richiedono un grande impegno di manodopera.

Fra queste ci sono il Trentino, soprattutto per la raccolta delle mele; il Veneto per la raccolta degli ortaggi; il Friuli Venezia Giulia per la preparazione delle piantine di vite per i nuovi impianti. Ma anche la Campania per la coltivazione del tabacco e del pomodoro destinato alla trasformazione industriale.

Lavoro in agricoltura, il 70% sono immigrati

Anche la Confagricoltura indica una “crescita elevata” della manodopera in agricoltura di origine extracomunitaria. Gli immigrati rappresentano circa il 70% dei lavoratori del settore. Tra i Paesi di provenienza predomina l’Africa, con Marocco, Tunisia, Senegal, Nigeria e Mali. Rilevante anche la quota di manodopera non comunitaria proveniente dell’Est Europa, in particolare da Albania e Macedonia. E poi dall’Asia, con India e Pakistan.

Sebbene gli arrivi attesi quest’anno superino quelli del 2022, per le organizzazioni agricole non sono comunque sufficienti rispetto alla domanda. Nelle campagne sarebbero necessari “almeno 100mila giovani“, rileva il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini. “È una necessità – prosegue – da affrontare con un decreto flussi aggiuntivo, previsto peraltro dalla legge“.

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Immigrati al lavoro nei campi. Foto Ansa.it

Il problema dei lavori estivi

Centomila è anche la cifra indicata dalla Confagricoltura, che da tempo ha chiesto una revisione del decreto flussi. E secondo la quale, “malgrado l’aumento, rispetto allo scorso anno, delle quote del decreto flussi, nelle aziende agricole mancheranno ancora lavoratori sufficienti per le operazioni tardo primaverili ed estive“.

Per il presidente dell’organizzazione agricola, Massimiliano Giansanti, “occorre almeno il triplo di manodopera disponibile e adeguatamente qualificata“. Peraltro, Confagricoltura prevede un numero di domande superiore rispetto all’offerta dei posti disponibili che l’Italia propone ai lavoratori.

In sostanza si ripropone ogni anno nel nostro Paese il problema cronico della scarsità di manodopera nell’agricoltura, nel settore turistico-alberghiero e in certi campi dell’industria  dell’artigianato. Il Governo Meloni ha detto e ripetuto più volte che intende valorizzare i cittadini in età e possibilità psico-fisiche atte al lavoro, anche il più gravoso. In questo senso, almeno nelle intenzioni dell’esecutivo, va il forte ridimensionamento del reddito di cittadinanza. Mentre le opposizioni chiedono che sia garantito per legge il salario minimo ai lavoratori: una regola che esiste in molti paesi della Ue ma non in Italia.

Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri

Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore.

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