L’ora della verità per la Juventus. I pm di Torino hanno depositato la richiesta di rinvio a giudizio nell’ambito dell’inchiesta Prisma.

Il provvedimento riguarda l’ex presidente Andrea Agnelli, dimessosi il 28 novembre con tutto il Cda, e altri 11 dirigenti bianconeri. Si tratta di Pavel Nedved, Fabio Paratici, Marco Re, Sefano Bertola, Stefano Cerrato, Cesare Gabasio, Maurizio Arrivabene, Francesco Roncaglio, Enrico Vellano, Stefani Boschetti e Roberto Grossi. Compare anche la Juventus come persona giuridica. La Procura di Torino invierà gli atti ad altre procure, un atto dovuto per chiarire l’eventuale coinvolgimento di altri club. Al centro dell’inchiesta lo scambio di giocatori e le relative plusvalenze (difficili tuttavia da provare perché non ci sono norme sui prezzi di un calciatore) e la cosiddetta manovra stipendi durante il blocco del calcio a causa della pandemia di Covid-19 (emolumenti erogati, ma non messi a bilancio).

Andrea Agnelli, ex presidente della Juventus. La procura di Torino ne ha chiesto il rinvio a giudizio per falso in bilancio. Foto Ansa/Alessandro Di Marco

Juventus, nessuna misura cautelare

Per Andrea Agnelli e per gli altri dirigenti sotto inchiesta non scattano comunque misure interdittive. Il gip (giudice per le indagini preliminari, n.d.r.) non ha infatti accolto le richieste di misure cautelari dei PM: il magistrato non ha ravvisato pericoli di reiterazione del reato. All’inchiesta della magistratura penale si affianca adesso anche quella della procura sportiva. Gli organi di giustizia sportiva avevano assolto la Juventus lo scorso maggio – assieme ad altri 10 club – nel filone d’indagini sulle plusvalenze al calciomercato dei giocatori. La procura federale ora ha aperto una nuova indagine sulla cosiddetta manovra stipendi bianconera.

Abodi: “È solo punta iceberg

La situazione della Juventus è soltanto la punta estrema. E, per certi versi, anche clamorosa, di un fenomeno su cui non possiamo voltarci dall’altra parte” ha detto all’Ansa il ministro dello Sport, Andrea Abodi. Perché “probabilmente la Juventus non è l’unica“, dunque “è il momento di mettere ordine e di andare a controllare in maniera più puntuale. Ci sono società che si comportano in maniera estremamente corretta ed altre che, evidentemente, hanno interpretato in maniera troppo particolare le norme. Questo determina un problema anche sul versante dell’equa competizione“.

Andrea Abodi, ministro dello Sport, ha stigmatizzato il caso Juventus, definendolo però “una punta dell’iceberg” del calcio italiano. Foto Ansa/Riccardo Antimiani

Juventus, un auto-calciopoli?

Come spesso avviene per le indagini giudiziarie, anche nel caso dell’inchiesta Prisma emergono intercettazioni telefoniche che squarciano il velo almeno in parte sui propositi e i sentimenti dei protagonisti. La sera del 23 luglio 2021, riporta il sito di Sky Sport, microspie dei militari del nucleo di polizia economico-finanziaria avevano captato ore di conversazione al tavolo di un ristorante torinese tra Stefano Bertola (ex direttore finanziario della Juventus) e il ds bianconero Federico Cherubini (non indagato). “La situazione è davvero delicata” diceva il primo al secondo. “Io in 15 anni faccio un solo paragone: Calciopoli. Lì c’era tutto il mondo che ci tirava contro, questa invece ce la siamo creata noi“.

Controllori e (non) controllati

Al centro della conversazione ci sono le plusvalenze e la verifica della Consob, l’autorità di Borsa, pochi giorni prima. “Non possiamo dire alla Consob che il bilancio è un atto di fede” è un altro passaggio intercettato dagli inquirenti. Le ispezioni della Consob nel luglio 2021 erano al centro di diverse telefonate di dirigenti bianconeri. “Tanto la Consob la supercazzoliamo“, diceva il 15 ottobre 2021 il direttore finanziario della Juve Stefano Cerrato a un collega, a proposito della plusvalenza da 8 milioni scaturita dallo scambio di mercato col Marsiglia fra i giocatori Tongya e Aké. L’espressione – resa celebre da Ugo Tognazzi-Conte Mascetti nella trilogia del film Amici Miei di Mario Monicelli – ritorna anche in un dialogo fra lo stesso Cerrato e Roberto Grossi, revisore di Ernst&Young, a proposito dello scambio Arthur-Pjanic col Barcellona. Secondo la procura di Torino, questo dimostrerebbe una linea comune fra la società Juventus e i revisori, che invece avrebbero dovuto essere dei controllori indipendenti.

Come è noto, nel pomeriggio del 28 novembre, come un fulmine a ciel sereno, l’intero Consiglio di amministrazione della Juventus si è dimesso. A convincere Andrea Agnelli del passo indietro sarebbe stato suo cugino John Elkann, l’erede ‘politico’ dell’Avvocato Agnelli, numero uno di Exor, la holding degli Agnelli-Elkann azionista di maggioranza del club bianconero. Ma anche, e soprattutto, di Stellantis (la ex Fiat) e della Ferrari. La Juventus ha accumulato un ‘buco’ di bilancio di circa 700 milioni di euro in pochi anni, con 5 esercizi consecutivi chiusi in passivo, l’ultimo dei quali in rosso per 254 milioni.

John Elkann (a destra) avrebbe convinto personalmente Andrea Agnelli (a sinistra) a dare le dimissioni da presidente della Juventus. Foto Ansa/Alessandro Di Marco