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Ivan e Nika: se la libertà vale più della vita

Storia di un rapper russo e di un'adolescente iraniana. Ma anche di Abdo, un anziano egiziano assetato di giustizia

Un rapper russo di 27 anni, Ivan Petunin, si è tolto la vita per non dover andare in Ucraina ad ammazzare. Un’adolescente iraniana, Nika Shakarami, è stata assassinata per aver protestato contro l’obbligo del velo islamico. Due giovani e un anziano, Abdo Abdelaziz, 82 anni. Che per la prima volta in vita sua ha raggiunto il Cairo cercando suo figlio inghiottito dalle fauci del sistema giudiziario.    

Si faceva chiamare Mr. Walkie il rapper russo Ivan Petunin. Quasi 11mila seguaci su Instagram, aveva 27 anni e un buon successo di pubblico. Come molti giovani della sua generazione, e del suo stesso paese, non accettava la guerra. Non aveva fatto propria l’idea, perdurante ovunque nel mondo, del “sacrificio per la Patria” anche quando è la Patria che aggredisce gli altri.  Arruolarsi e andare al fronte essendo pronti a morire a prescindere.

Ivan Petunin e Nika Shakarami

Per poi immaginare la dedica postuma di qualche minuto di silenzio alla propria memoria dieroe” presunto. O magari avere la foto del proprio viso su una targa ai caduti di cui i vivi asseriscono di celebrare la “gloria“. Soprattutto, Ivan Petunin non accettava l’idea di uccidere altre persone, foss’anche il nemico in guerra. Anzi proprio quello. Nel caso del rapper, ogni soldato e cittadino dell’Ucraina invasa dalle armate putiniane.

Non uccido per nessun ideale

Il 1 ottobre Ivan si è suicidato a Krasnodar. In un video pubblicato su Telegram e rimbalzato sugli altri social media, Petunin afferma di voler effettuare la sua ultima protesta. “Se stai guardando questo video non sono più vivo. Non posso assumere il peccato dell’omicidio sulla mia anima e non voglio. Non sono pronto a uccidere per nessun ideale“. Era sicuro che, prima o poi, sarebbe stato chiamato alle armi, a seguito della mobilitazione militare in corso in Russia. Come carne da cannone. Al fronte di una guerra di cui sempre più giovani non comprendono le ragioni e tantomeno le giustificano.

Jan Palach, 20 anni. Si uccise dandosi fuoco per protestare contro l’invasione sovietica della Cecoslovacchia avvenuta nel 1968. Foto Twitter @Ian_Willoughby

La libertà di Ivan

Ivan Petunin ha inteso il suo suicidio come gesto estremo di protesta. Come Jan Palach che a Praga si dette fuoco nel 1969 per protestare contro l’invasione dei carri armati sovietici? “Cada pure ogni cosa sotto il potere di un despotaSeneca fa dire a Catone l’Uticense nel De Providentia – vengano pure i soldati di Cesare (…); Catone sa come uscirne: col suo solo braccio saprà aprirsi un’ampia strada verso la libertà“. È il suicidio del repubblicano Catone, celebrato nell’antichità romana come esempio di virtù e libertà indomita, capace di rinunciare alla propria vita per non cadere nelle mani del tiranno. Per questo Dante celebra Catone nel primo Canto del Purgatorio e a Virgilio fa dire:

Or ti piaccia gradir la sua venuta:
libertà va cercando, ch’è sì cara,
come sa chi per lei vita rifiuta.

Seneca, Catone, Dante, Jan Palach. Nobili figure che non solo la fine di Ivan Petunin riporta alla mente. Perché anche Nika Shakarami, 17 anni, è morta per la libertà. La libertà di non essere più obbligata, in quanto donna, a indossare il velo islamico. Nika ha perso la vita sotto i colpi della repressione poliziesca. Dopo che già altre ragazze l’hanno persa per protestare contro la morte di Masha Amini, arrestata a metà settembre perché “non indossava correttamente” il velo sul capo.

Proteste in Iran dopo la morte di Masha Amini, arrestata perché non portava correttamente il velo islamico. Foto Twitter @Ferula18

Nika, 17 anni come un lampo

A Teheran infuriano le proteste: anche molti uomini si stanno unendo alle donne. Simbolo del dissenso contro il regime degli ayatollah è diventato il taglio dei capelli. E per ciò che riguarda Nika Shakarami i familiari hanno denunciato che le forze di sicurezza ne hanno rubato il corpo per seppellirla segretamente. Nika era scomparsa il 20 settembre dopo aver preso parte alle proteste in memoria di Mahsa Amini a Teheran. Nel suo ultimo messaggio a un’amica aveva detto di essere inseguita dalle forze di sicurezza, ha raccontato sua zia, Atash, a Bbc Persian.

Dopo 10 giorni – poco prima che in Russia Ivan Petunin si uccidesse – il suo cadavere è stato ritrovato in un obitorio di un centro di detenzione della capitale. “Quando siamo andati a identificarla, non ci hanno permesso di vedere il suo corpo, solo il suo viso per alcuni secondi“, ha raccontato la zia. Le forze di sicurezza hanno intimato ai familiari di non tenere una cerimonia funebre. E hanno arrestato la zia, minacciando di ucciderla se il resto della famiglia avesse partecipato alle proteste.

Il carcere di Tora al Cairo, Egitto. Foto Twitter @goharkhan47

Abdo, Ivan e Nika

Se Ivan Petunin e Nika Shakarami sono un emblema di giovani che sacrificano la vita per la libertà, la vicenda di Abdo Abdelaziz ci narra una storia diversa ma parallela. Abdo, 82 anni, è un commerciante di pesce di Assuan, nel Sud dell’Egitto. Nel 2018 ha aspettato giorni interi alla stazione di polizia perché avevano arrestato suo figlio Gaafar Abdelaziz, sparito nel nulla. Non ha avuto risposte. Così, per la prima volta nel corso della lunga esistenza, è andato al Cairo: voleva parlare con i magistrati della capitale, una metropoli che non aveva mai visto in vita sua.

“Credevo che la legge e la costituzione fossero rispettate – ha detto al New York Times che ha raccontato la sua storia – per questo sono andato al Cairo. E non ho trovato nulla di tutto ciò.Avvocati senza scrupoli lo hanno convinto a pagare 640 dollari in cambio della promessa che gli avrebbero fatto rivedere suo figlio. Ma nulla è avvenuto. Abdo però non si è arreso. E si è recato in tutti i padiglioni della prigione di Tora, nella speranza che qualcuno gli confermasse che suo figlio Gaafar era lì. I guardiani di una delle peggiori carceri di tutta l’Africa gli hanno detto che quell’uomo arrestato non era detenuto a Tora. Abdo Abdelaziz è tornato ad Assuan. La sua sete di giustizia, però non si è spenta. Non ha più nulla da perdere perché ha perso ingiustamente suo figlio. Per lui la giustizia e la libertà di Gaafar valgono di più della sua stessa vita. Come per Ivan Petunin e per Nika Shakarami.

 

Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri

Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore.

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