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Paradisi fiscali, aggiornata la black list dell’Europa

Al bando le Bahamas. Ma diversi Stati membri Ue, anche tra i fondatori, contribuiscono all'elusione fiscale mondiale

L’Unione europea mette in black list altri 3 paradisi fiscali. Il Consiglio Ue ha infatti stabilito di allungare la lista delle giurisdizioni non cooperative a fini fiscali, inserendo le Bahamas, Anguilla e le isole Turks e Caicos.

Anguilla e Turks e Caicos sono territori d’Oltremare britannici ai Caraibi. Le Bahamas fanno parte del Commonwealth. La lista comprende anche le Samoa Americane, Fiji, Guam, Palau, Panama, Samoa, Trinidad e Tobago, le Isole Vergini Britanniche e Vanuatu. I paradisi fiscali sono Stati che garantiscono un prelievo fiscale basso o nullo in termini di imposta sui redditi e sul capital gain derivante dagli investimenti finanziari. Il capital gain è una plusvalenza. Ovvero è il guadagno in conto capitale, o utile di capitale. Indica la differenza tra il prezzo di vendita e quello di acquisto di uno strumento finanziario, come ad esempio le azioni.

Lo Stato delle Isole di Bahamas è uno dei paradisi fiscali nella black list europea. Foto Twitter @BahamaPapa_

Nei paesi che sono i cosiddetti paradisi fiscali le imposte nulle, o quasi, sui redditi come sulle plusvalenze incassate su operazioni finanziarie determinano lauti guadagni esentasse. Tali guadagni costituiscono una fortissima attrazione per società, aziende, multinazionali, personalità milionarie e capitali esteri. In sostanza i paradisi fiscali consentono di usufruire di una giurisdizione che fa evadere le tasse del paese di provenienza. La necessità di individuare il migliore paradiso fiscale per ‘proteggere’ reddito e ricchezza non è solo un’ ‘abitudine’ degli ultra-ricchi del mondo. Nei meandri giuridico-amministrativi dei paradisi fiscali si nascondo spesso anche capitali illeciti, di provenienza criminale e mafiosa.

Paradisi fiscali e società offshore

Nei paradisi fiscali non soltanto si pagano meno tasse ma privati e imprenditori vi spostano i propri capitali perché possono confidare nel segreto bancario e aprire società offshore in loco. Per società offshore si intende un’azienda registrata in base alle leggi di uno Stato estero – uno, appunto, fra i paradisi fiscali – ma che conduce la propria attività fuori della giurisdizione in cui è registrata.

Una seduta del Consiglio Ue, che periodicamente riunisce i capi di Governo dei 27 Stati membri. Foto Twitter @EUCouncilPress

Le caratteristiche principali che cerca chi decide di individuare il paradiso fiscale migliore per le sue caratteristiche sono, essenzialmente, due. In primo luogo la segretezza di dati e operazioni finanziarie. In secondo luogo l’accessibilità immediata al proprio patrimonio. Oggi i più grandi paradisi fiscali del mondo sono sparsi in tutto il globo. Alcuni di loro sono piccole nazioni ma altri sono grandi potenze economiche. Secondo le stime più recenti, almeno il 40% dei profitti esteri annui delle multinazionali è dichiarato in paradisi fiscali.

La situazione in Europa

Sono paesi che applicano aliquote di imposte tra il 5% e il 10% o, in alcuni casi, pari a zero. Si tratta di almeno 800 miliardi di dollari di reddito sottratti ogni anno alla tassazione di Stati come Francia, Italia, Germania o gli Usa. Nei complessi schemi dell’elusione fiscale internazionale hanno un importante ruolo anche alcuni Stati membri dell’Unione Europea. Di fatto paradisi fiscali nel Vecchio continente: Belgio, Olanda e Lussemburgo – che sono fra i paesi fondatori – e Irlanda, a cui si aggiungono Malta e Cipro.

Case ad Amsterdam. Foto Twitter @bvretree. L’Olanda è considerata da molte aziende multinazionali un paradiso fiscale

Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri

Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore.

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