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“The man of the hole” e Gorbaciov: due vite, lo stesso messaggio

Se ne sono andati due uomini che più diversi non potevano essere. Ci lasciano lo stesso appello alla fratellanza, valido a tutte le latitudini

Mikhail Gorbaciov avrebbe sorriso se avesse incontrato The man of the hole, il nativo brasiliano dell’Amazzonia, rimasto solo senza contatti con altri esseri umani per tre decenni. Si sarebbero capiti perché entrambi hanno lottato per preservare integrità, sicurezza, relazioni di pace e non di guerra.    

Lo hanno ritrovato senza vita, privo di segni di violenza, ricoperto di piume. Come se le avesse ‘indossate’ in attesa della morte. Era su un’amaca, fuori da una capanna di paglia. Così, il 23 agosto, è apparso agli occhi del mondo The man of the hole, ‘l’uomo del buco’ a cui Gorbaciov, ci piace pensare, avrebbe sorriso. Si tratta di quello che sembra uno degli ultimi indigeni vissuti in totale isolamento nella foresta dell’Amazzonia brasiliana, precisamente nell’area di Tanaru, nello stato di Rondonia.

Secondo quanto riporta la Bbc si trattava dell’unico sopravvissuto di una tribù massacrata sul finire degli Anni Settanta da minatori e allevatori che si espandevano ad ovest. Nel 1996 pare che fossero rimasti sei appartenenti a questa tribù, quando un gruppo di minatori illegali li uccise. Solo uno di loro scampò all’assalto omicida. L’uomo del buco era stato chiamato così da un gruppo di antropologi che l’avevano casualmente scovato quasi 30 anni fa (proprio mentre in Russia la stella di Mikhail Gorbaciov precipitava nella polvere). Lo avevano osservato mentre scavava buche profonde nel terreno. Lo faceva, questa fu la conclusione dei ricercatori, sia per intrappolare animali per poi cibarsene che per ripararsi durante i periodi di riposo funestati da tempo inclemente.

Vittima di un genocidio

Nel 2018 l’Agenzia brasiliana per gli affari indigeni (FUNAI) è riuscita a filmarlo durante un incontro casuale nella giungla. Nel filmato, l’uomo del buco può essere visto mentre taglia un albero con una specie di ascia. Adesso non c’è più. È scomparso come ultimo della sua popolazione: una tribù di nativi sterminati, vittime di genocidio. Uno stermino operato per sottrarre loro la terra, le materie prime, l’ambiente dell’Amazzonia. Di fatto, appunto, un genocidio. Non dissimile da quello che, in epoca coloniale, gli Stati occidentali hanno compiuto in Africa, come in Asia, come nella stessa America Latina. Inclusa l’Italia, che ha sterminato le popolazioni locali in Etiopia, compiendo eccidi e barbarie anche in Somalia e in Libia.

Mikhail Gorbaciov e la moglie Raissa in piazza San Marco a Venezia nel 1993. Foto Ansa/Andrea Merola

Gorbaciov, la pace, le dimissioni

Una settimana più tardi della scoperta del corpo senza vita dell”uomo del buco’ è giunta la notizia della morte di Mikhail Gorbaciov. Il padre della glasnost (trasparenza) e della perestrojka (ristrutturazione) all’epoca dell’Unione Sovietica in Russia, si è spento a 91 anni. Non esitò ad avallare sanguinose repressioni contro le rivolte che nel 1990 scoppiarono contro il dominio russo in diverse repubbliche sovietiche dalla Lituania alla Georgia. Al tempo stesso fu capace, una volta resosi conto dell’impossibilità di tenere legati a Mosca i popoli ‘fratelli’ che si ribellavano a decenni di dittatura, di abdicare dando le dimissioni. E determinò la scomparsa dell’impero sovietico e la rinascita della Russia. Non senza aver prima firmato storici trattati con gli Usa per la riduzione degli arsenali nucleari e aver contribuito in maniera decisiva alla caduta del Muro di Berlino e alla fine della Guerra Fredda.

Il nativo brasiliano senza nome e senza età, di cui non sappiamo quasi nulla, e l’ultimo presidente dell’Urss, di cui sappiamo quasi tutto, non hanno nulla in comune. Ma la loro morte così ravvicinata, a pochi giorni di distanza, ci lascia lo stesso messaggio: come uno specchio ci mostra davvero quale società globalizzata abbiamo costruito. Un mondo in cui non c’è spazio per i popoli ancestrali. E in cui non c’è terreno fertile per l’abbandono della logica delle armi e la costruzione di relazioni internazionali fra i popoli basate sulla pace. Per assurdo, ora che sono morti, Gorbaciov e The man of the hole interrogano più duramente la nostra cattiva coscienza.

Putin rende omaggio alla salama di Gorbaciov a Mosca il 1 settembre 2022. Foto Ansa/Afp

Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri

Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore.

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