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Draghi e il patto col “dittatore” Erdogan

Un anno dopo le ruvide parole del premier sul presidente turco, la stretta di mano in perfetto stile di realpolitik draghiana

Presenti Draghi e Erdogan, Italia e Turchia si ritrovano su un fronte comune, a 10 anni dall’ultimo bilaterale. Si cercano soluzioni alla guerra in Ucraina, a partire dalla crisi del grano. Ma Roma fornirà anche nuove armi ad Ankara, e la Turchia più gas e petrolio all’Italia.

Mario Draghi ha incontrato il presidente turco Recep Tayyp Erdogan ad Ankara e con lui ha parlato anche di un un nuovo coordinamento per la stabilizzazione della Libia. Così come della collaborazione sul gas. La Turchia vuole diventare il crocevia della distribuzione degli idrocarburi all’Europa, dopo che la Russia ha cominciato a chiudere i rubinetti dei gasdotti (anche all’Italia). Complessivamente l’Italia ha siglato 9 accordi con la Turchia, primo partner commerciale nel Medio Oriente. Presenti alla firma i ministri dell’Interno, Luciana Lamorgese, degli Esteri, Luigi Di Maio, della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, e della Difesa, Lorenzo Guerini.

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Foto Ansa

Draghi e Erdogan

Erdogan è un dittatore ma a volte con i dittatori bisogna cooperare” aveva detto Draghi lo scorso anno, suscitando polemiche da parte turca. La sua stretta di mano, il 5 luglio, al “dittatore” appare perfettamente coerente, sebbene ampiamente discutibile, rispetto alla realpolitik draghiana. Nell’aprile 2021 in Turchia scoppiò il cosiddetto sofa-gate. La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, in visita ad Ankara, dovette restare lontana da Erdogan, in quanto donna.

La questione dei curdi

Draghi condannò quell’umiliazione. “Con questi dittatori, chiamiamoli per quello che sono di cui però si ha bisogno, uno deve essere franco nell’esprimere la propria diversità di vedute e di visioni della società” disse il premier. Al tempo stesso, aveva sottolineato Draghi, “uno deve essere anche pronto a cooperare (con i dittatori, ndr.). Per assicurare gli interessi del proprio Paese. Bisogna trovare il giusto equilibrio.

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La protesta, in maggio, di donne curde a Bruxelles, con foto di vittime delle azioni militari turche nel Kurdistan. Foto Ansa/Epa Stephanie Lecocq

Cosa che puntualmente si è verificata in queste ore. Ma in Italia è già polemica sulla visita di Draghi ad Ankara. Anche perché in questi giorni Svezia e Finlandia aderiscono alla NATO. E si discute del destino del popolo curdo – senza patria – che i turchi combattono in una lotta senza quartiere. Malgrado le smentite di Stoccolma ed Helsinki si teme che per superare il veto di Ankara all’ingresso dei due paesi nell’Alleanza atlantica si siano “svenduti” i curdi alla mercé di Erdogan. E di questo in molti accusano lo stesso Draghi, in quanto premier dell’Italia, uno dei maggiori paesi della NATO.

Draghi e il nodo migranti

Nell’incontro fra Draghi e Erdogan il premier italiano ha lanciato un avvertimento sui migranti. Il messaggio a Turchia, Grecia ed Europa è il seguente: gli sbarchi dei migranti in fuga dalla disperazione e dalla miseria sono triplicati. Proprio sulla rotta orientale. E hanno raggiuntoil limite” anche per un paese aperto come l’Italia.

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Draghi con Erdogan alla parata d’accoglienza in Turchia. Foto Ansa/Chigi

Il grano dell’Ucraina

Da parte sua il presidente turco ha fatto sapere che l’obiettivo per quest’anno è arrivare a un’interscambio economico con l’Italia di 25 miliardi di dollari. “C’è la volontà comune di rafforzare la partnership tra Italia e Turchia, i due paesi lavorano insieme per una pace stabile e duratura” ha detto Draghi. Il riferimento era all’Ucraina. Erdogan ha sostenuto che “i nostri negoziati” per un corridoio del grano nel Mar Nerovanno avanti. Al momento non abbiamo una crisi su questo ma in Africa c’è un grandissimo problema. Per questo speriamo ci sia un accordo” tra Putin e Zelensky. “Anche sotto l’ombrello ONU. Cerchiamo di arrivare a un risultato tra 10 giorni“.

Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri

Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore.

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