Il day after di Boris Johnson è quello di un pessimo risveglio, ammesso che stanotte il Primo Ministro britannico abbia chiuso occhio. Lo scrutinio di sfiducia del suo partito non ha raggiunto lo scopo ma il 41% dei deputati Tories ha votato per la rimozione di BoJo. 

Si tratta di una percentuale molto alta. Per la cacciata di Johnson – formalmente da capo del partito, ma in sostanza anche dalla premiership – serviva un minimo di 181 voti: la metà più uno dei deputati conservatori. Nel segreto dell’urna, ieri 6 giugno, i ribelli che volevano sfiduciarlo si sono fermati a quota 148. A favore del premier hanno votato la fiducia 211 deputati. A conti fatti, però, è un pessimo risultato per Johnson. Sebbene BoJo e suoi alleati abbiano cantato vittoria, molti parlamentari conservatori, inclusi alcuni dei suoi sostenitori, si fregano le mani. Dal loro punto di vista si tratta di una spallata andata comunque a buon fine.

Boris Johnson. Foto Ansa/Epa Tolga Akmen

Perché, dopo il party gate e il risultato negativo nelle amministrative di un mese fa, è molto più di un avviso di sfratto. È, potenzialmente, l’inizio della fine politica per Johnson. Il motivo è presto detto. Come sottolinea Rowena Mason sul quotidiano The Guardian, avere contro il 41% dei propri deputati significa per il premier governare avendo, di fatto, perso il sostegno della maggioranza in Parlamento. D’ora in avanti l’esecutivo Johnson rischia di restare paralizzato a ogni scrutinio che la Camera dei Comuni dovrà affrontare per valutare i provvedimenti del Governo di Sua Maestà.

Johnson, May e Thatcher

In teoria Johnson è al sicuro per un anno da un’altra sfida alla sua leadership con un ballott come quello di ieri. Sono le regole del Comitato del 1922 interno al suo partito. Ma quattro anni fa anche la premier Tory Theresa May, sopravvissuta politicamente al voto di sfiducia, dopo 6 mesi dovette lasciare l’incarico. Eppure aveva riottenuto il sostegno dei parlamentari tories con ‘soli’ 117 voti contrari: 31 ribelli in meno rispetto a quelli che si sono coalizzati contro Boris Johnson. Ma non fu sufficiente. Il suo Governo era di fatto esautorato. Non basta. Nel 1990 la lady di ferro, Margaret Thatcher, sopravvisse politicamente anch’essa a un voto sulla sua leadership. Tuttavia, non potendo sopportare quell’umiliazione si dimise dopo una settimana.

Il sarcastico titolo del Daily Mirror dopo il voto di sfiducia a Johnson

Lo farà anche Boris Johnson? No, non c’è dubbio, non lo farà. Lo si evince dalle parole che ha rilasciato a seguito del risultato dello scrutinio interno ai Tories. Il premier ha insistito sul fatto che si tratta di un “risultato estremamente buono, positivo, conclusivo e decisivo” che gli permetterà di “andare avanti per concentrarsi sul mandato“. È arrivato a sostenere di aver “ricevuto un mandato molto più grande“, dai colleghi, di quanto non fosse accaduto nel 2019. In ogni caso Johnson non esclude a priori elezioni anticipate, sebbene si sia premurato di aggiungere che “non è interessato” a quell’idea. E fa bene a non esserlo. Un eventuale voto popolare anticipato rispetto alla scadenza naturale del 2024 potrebbe rivelarsi molto più pesante del ballott fra i deputati del partito Tory.

L’ex premier Tory, Theresa May, avversaria di Johnson. Foto Twitter @JackSummersUK