Avrebbe compiuto 61 anni oggi 24 maggio, Ilaria Alpi. La giornalista della Rai muore assassinata a 33 anni non ancora compiuti il 20 marzo 1994 in Somalia, a Mogadiscio, assieme al suo operatore Miran Hrovatin.

Nel 2017 la procura di Roma chiede di archiviare ogni indagine ancora aperta, per la ritenuta impossibilità di arrivare alla verità. E questo dopo che nel 2016 una clamorosa svolta processuale porta i giudici ad assolvere Hashi Omar Hassan. Si tratta dell’uomo, somalo, che era stato condannato quale autore materiale del duplice omicidio fino al terzo grado di giudizio. E poi assolto a seguito della revisione del processo, nel 2016. Liberato dopo aver scontato da innocente 17 anni di carcere sui 26 comminati.

Risulta impossibile, affermano i magistrati, accertare l’identità dei killer e il movente del duplice delitto di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. A oggi, dunque, resta il mistero, il buio fitto su chi abbia voluto la morte dei due giornalisti e sul perché. Ma se appare impossibile giungere a una verità giudiziaria, una verità storica, e in un certo senso ‘politica’, l’abbiamo.

Cosa aveva scoperto Ilaria Alpi

In Somalia, infatti, Ilaria Alpi sviluppa inchieste giornalistiche molto coraggiose e approfondite. In particolare su un possibile traffico di armi e di rifiuti tossici. Una trama torbida di affari sporchi, altamente pericolosi. In cui sarebbero immersi anche uomini dei servizi segreti italiani e di alte istituzioni del nostro Paese. La scoperta della cronista romana – stando alle ricostruzioni in sede processuale e a inchieste giornalistiche sulla sua morte – era, come si dice in gergo, una ‘bomba’.

Ilaria Alpi, 32 anni, e Miran Hrovatin, 49

Ovvero un traffico internazionale di rifiuti tossici prodotti nei paesi industrializzati, Italia compresa, e dislocati in alcuni paesi africani come la Somalia, usati come pattumiera del mondo ricco, in cambio di tangenti e armi, scambiate con gruppi politici locali. Si tratta di un’ipotesi che la giornalista era probabilmente in grado di provare in maniera inequivocabile, per un servizio mai andato in onda a causa della sua morte. Nel novembre precedente all’assassinio di Alpi e Hrovatin, il sottufficiale del Sismi (l’allora servizio segreto militare), Vincenzo Li Causi, era morto in circostanze oscure. Li Causi era un informatore della stessa Alpi sul traffico illecito di scorie tossiche in Somalia.

Una vita per il giornalismo

Realizzare corrispondenze serie, scrupolose, giornalisticamente impeccabili, portando notizie fresche di prima mano, al tempo stesso mostrando attenzione e rispetto alla dimensione umana del contesto, non è da tutti. Le premesse di tutto ciò, in Ilaria Alpi, c’erano da sempre. Era – nelle parole che la madre Luciana pronunciò a Carlo Lucarelli per la trasmissione Blu Notte – “una donna dalla volontà molto forte, tenace. Era curiosa. Amava molto viaggiare.” Ma soprattutto “le piacevano le cause perse, doveva sempre aiutare qualcuno“. Non basta. Alpi sviluppò la ‘vocazione’ al giornalismo fin dall’adolescenza, quando frequentò un corso ad hoc per allievi delle scuole medie. E aveva la passione per l’arabo: una lingua ancora poco studiata, anche in ambito giornalistico. Ilaria partecipò a un concorso in Rai e, senza raccomandazioni di sorta, lo vinse, classificandosi al primo posto su 6mila concorrenti.

La vicenda di Ilaria Alpi e Milan Hrovatin è emblematica” ha detto lo scorso 21 marzo Alberto Spampinato, presidente di Ossigeno per l’Informazione, l’osservatorio di Federazione Nazionale Stampa Italiana e Ordine dei Giornalisti. Rappresenta bene le “difficoltà che impediscono di assicurare alla giustizia i responsabili, quando si uccide un giornalista in un’area di crisi“. Ecco perché, secondo Spampinato, “ci vogliono strumenti giudiziari adatti per indagare sulle morti dei giornalisti. Servirebbe l’istituzione di una Corte internazionale. O investire di questo compito la Corte internazionale dell’Aja, che già ha competenza per i crimini di guerra“.