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Sergio Mattarella, il Presidente mite e forte che gli italiani vorrebbero ancora

Chiude un settennato fra i più duri. Alla maggioranza del Paese è apparso come un 'padre' saggio e dolce che sa essere severo ogni volta che serve

Qualcuno ancora spera che Sergio Mattarella ci ripensi e si lasci ‘incoronare’ nuovamente Capo dello Stato, prolungando di almeno 2 anni la sua permanenza al Quirinale come già fece il suo predecessore, Giorgio Napolitano. Si tratta però di un’ipotesi sempre meno probabile, per non dire già da escludere categoricamente.

Mattarella, gradimento alto

E questo malgrado che, all’ultimo mese di presidenza, Mattarella raggiunga il picco della propria popolarità: il 77% degli italiani gradisce il suo operato e la sua figura. Lo riporta un sondaggio dell’Istituto Ixè. Per Ixè in poco meno di 4 anni il favore popolare verso Mattarella è salito di 30 punti percentuali. I picchi più alti di fiducia per il Capo dello Stato uscente si registrano tra l’elettorato del PD (quasi un plebiscito, è il partito di provenienza di Mattarella). Ma anche di altri partiti di sinistra e di Forza Italia. In media, cioè al 77%, è il gradimento che esprime la base elettorale del M5S. Sotto il 70% la fiducia dei leghisti, poco sopra il 50% quella degli elettori di Fratelli d’Italia.

Elezione diretta, i dati di Piepoli

Una precedente rilevazione dell’Istituto di Nicola Piepoli, dello scorso 14 dicembre, fa emergere un dato ancor più significativo: il 72% degli intervistati vorrebbe l’elezione diretta del Presidente (da sempre affidata al Parlamento e ai cosiddetti Grandi Elettori: poco più di mille persone in tutto). Al termine del settennato dell’inquilino del Quirinale è lecito pensare che sia proprio Sergio Mattarella ad aver alimentato – contro il suo istinto di parlamentarista convinto – il favore verso un’elezione presidenziale diretta in stile francese. Il motivo? Rintracciabile, a nostro avviso, nei numeri sull’alto gradimento di cui gode il giurista siciliano.

Cosa piace di Mattarella

Nel corso dei 7 anni della sua guida al Colle, Mattarella non è stato certo un Capo dello Stato di rottura, di svolta o di particolari aperture capaci di rompere gli schemi tradizionali. Non sono né Sandro Pertini, né, tanto meno, Francesco Cossiga, i predecessori che più gli assomigliano. Ma neppure il coriaceo Giorgio Napolitano. Mattarella è stato piuttosto un arbitro saggio, un riferimento nelle contese politiche per equilibrio e garanzia di tutte le parti in gioco. È stato soprattutto l’uomo della resistenza e della riscossa contro la pandemia di Covid. Gli italiani ne hanno apprezzato l’autorevolezza di pater familias e il profilo basso, mite e umile ma determinato.

Il (non) bis di una presidenza

Mattarella si può forse criticare per un’eccessiva prudenza su alcuni mancati interventi rispetto a decreti scritti male dai ben 5 governi in 7 anni che si sono succeduti sotto la sua presidenza. O per il realismo del possibile, tipico della scuola democristiana da cui proviene (non è detto però che questo sia necessariamente un difetto). Ma la sua è stata una presidenza di successo, come dimostra il ‘bis‘ che, dopo il pubblico della prima della Scala, a Milano, anche quello del Maggio musicale fiorentino gli ha chiesto a gran voce. Più volte lui ha fatto capire di essere contrario a un secondo mandato. Ma non basta. In tanti, tantissimi, vogliono ancora “il presidente mite” al Quirinale.

L’eredità di Sergio

L’asso nella manica, il suo capolavoro politico-istituzionale, è forse la nomina di Mario Draghi a premier lo scorso febbraio. Una scelta che ha costretto i partiti a riunirsi per sostenere a larghissima maggioranza un Governo che opera in una fase di grave emergenza sanitaria. Il lascito di Mattarella è chiaro: nelle fasi più difficili il Paese deve mettere da parte, a tutti i costi, le divisioni. E unirsi, con saggezza, in nome dell’orgoglio e della dignità di essere italiani.

Quirinale Draghi Berlusconi
Draghi e Berlusconi tra i favoriti, nei sondaggi, per succedere a Mattarella

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Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri

Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore.

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