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Quirinale, l’Economist incorona Draghi (affinché resti a Palazzo Chigi?)

Il settimanale che 20 anni fa definì 'Berlusconi unfit to lead Italy', proclama il premier salvatore dell'Italia, "Paese dell'anno"

Se è vero che il giornalismo britannico non le manda mai a dire, questo vale anche per Mario Draghi. Dal punto di vista dell’Economist, uno dei settimanali inglesi più prestigiosi al mondo, “la stabilità dell’Italia sarebbe in pericolo se Draghi dovesse lasciare il suo posto per diventare Presidente della Repubblica. Un incarico più di rappresentanza, e potrebbe succedergli un primo ministro meno competente“. Inutile, dunque, affannarsi a considerare l’articolo che ha fatto il giro del mondo – per aver incoronato il nostro come il “Paese dell’anno” fra lotta alla pandemia e ripresa economica – quale endorsement per Super Mario prossimo Capo dello Stato.

Draghi al Quirinale, irresistibile ascesa?

Non è detto, però, che a Londra abbiano ben presenti i bizantinismi degli equilibri politici e istituzionali italiani. Non si può quindi escludere che ciò che all’establishment d’Oltremanica appare semplice riguardo a Draghi – resti a Palazzo Chigi per il bene dell’Italia – di qua dalle Alpi si trasformi nell’immagine del premier moltiplicata per il riflettersi in un gioco di specchi. E dunque si sfrutti l’apologia draghiana in salsa britannica per lanciarlo ancora più forte verso il Colle, considerato che, anche secondo l’ultimo sondaggio di Nicola Piepoli, gli italiani vorrebbero proprio Mario Draghi (dopo Sergio Mattarella) al Quirinale.

Il ‘partitone’ per Draghi premier

Ma ai leader dei partiti i sondaggi fra i cittadini interessano di più quando si parla di intenzioni di voto per le elezioni politiche o amministrative. In Parlamento, dove a gennaio 2022 si eleggerà il nuovo Presidente della Repubblica, i giochi si fanno in un altro modo. Ecco perché l’Italia descritta dall’Economist – la stessa rivista che venti anni fa titolò su Berlusconi unfit (inadatto) to lead Italy – le forze politiche di maggioranza, dal PD e M5S alla Lega e Forza Italia, potranno assumerla a emblema del successo di Draghi, ovvero di se stesse.

Conte Letta
Enrico Letta e Giuseppe Conte a colloquio. Foto Twitter @sissiisissi2

PD e M5S, lavoro comune

L’Italia – scrive il settimanale inglese – è cambiata con Draghi, un premier competente e rispettato a livello internazionale e non si può negare che sia migliore di un anno fa“. Insomma, un’ottima ragione per non cambiare la squadra di Governo, a cominciare dal premier ovviamente, ‘liberando’ la casella del Colle. Ma soprattutto garantendo la tenuta della più composita maggioranza parlamentare della storia recente fino a scadenza naturale della legislatura, nel 2023. Così evitando di precipitare il Paese nell’incognita delle elezioni anticipate fra pochi mesi. Una strategia su cui lavorano soprattutto Enrico Letta e Giuseppe Conte, pronti a ricompattare il “campo largo” del Centrosinistra. In sostanza a individuare un candidato comune di alto profilo, eleggibile a larga maggioranza dei grandi elettori, per sbaragliare il campo dall’ingombrante Silvio Berlusconi. Sempre che, contravvenendo a se stesso, al Quirinale alla fine non resti Mattarella.

Con Draghi l’Italia è migliorata

Il riconoscimento dell’Economist va non al Paese “più grande, al più ricco o al più felice“, ma a quello che “è migliorato di più nel 2021“. Ed è l’Italia di Draghi. “Non per l’abilità dei suoi calciatori, che hanno vinto l’Europeo, né per le sue pop star, che hanno vinto l’Eurovision Song Contest, ma per la sua politica“. Per una volta, si legge ancora, “una larga maggioranza dei politici italiani ha seppellito le proprie divergenze per sostenere un programma di profonda riforma“. “Il tasso di vaccinazione contro il Covid in Italia – scrive ancora l’Economist – è tra i più alti d’Europa. E dopo un 2020 difficile, la sua economia si sta riprendendo più rapidamente di quelle di Francia o Germania“.

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Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri

Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore.

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