Fondazione Marcegaglia: “La violenza sulle donne non è fatta solo di pugni”
Il direttore di VelvetMAG ha incontrato il Presidente Carolina Toso Marcegaglia per raccontare l'impegno a favore delle donne in Italia e all'estero
La campagna La violenza sulle donne non è fatta solo di pugni realizzata dalla Fondazione Marcegaglia Onlus ci ha subito colpiti. Per questo abbiamo deciso di dargli prima spazio con un articolo sulla nostra testata, poi di raccontare di più, di scoprire chi l’aveva ideata e promossa. Per questo abbiamo incontrato il presidente, Carolina Toso Marcegaglia, alla guida dal 2010, che ha messo la sua formazione da biologa e la sua esperienza manageriale, al servizio delle tante attività messe in campo.
I progetti condivisi con il management e con la famiglia di imprenditori Marcegaglia, ripercorrono lo stesso percorso del Gruppo. Partendo dalla lavorazione dell’acciaio a Gazoldo degli Ippoliti, oltre 50 anni fa, oggi è diventata una realtà con 50 stabilimenti nel mondo. Il confronto con le realtà in cui hanno sede le attività ha portato inevitabilmente a cogliere diverse necessità. Son ben 33 gli interventi solidarietà e progetti di sviluppo che hanno sostenuto negli anni oltre 10.000 donne, nella consapevolezza che esse siano il motore della crescita delle loro famiglie e comunità.
Oggi posso annunciare come direttore di VelvetMAG che condividiamo lo spirito di questa campagna che siamo stati onorati di pubblicizzare e sottoscriviamo il manifesto promosso dalla Fondazione Marcegaglia di cui parleremo all’inizio di questa intervista.
Intervista esclusiva a Carolina Toso Marcegaglia – Presidente della Fondazione Marcegaglia Onlus
Ci racconti cosa è quando nasce il progetto La violenza sulle donne non è fatta solo di pugni?
La campagna La violenza sulle donne non è fatta solo di pugni nasce con la volontà di sensibilizzare le persone riguardo al tema purtroppo dilagante della violenza di genere. E’ un tema che troviamo all’ordine del giorno nelle cronache e nei telegiornali, ma che spesso consideriamo lontano da noi. Si tende a pensare che la violenza sia tale solo nelle sue manifestazioni più estreme e fisiche. Spesso non ci rendiamo conto che la violenza inizia sempre con segnali più quotidiani e “banali”. Un esempio? Fischi, battute sessiste, allusioni sessuali, suoni di clacson per la strada, ma anche piccoli ricatti, umiliazioni e insulti in ambito domestico.
Anche i social possono essere un veicolo di questa violenza, basti pensare ai 326.000 Tweet di odio contro le donne postati tra il 2017 e il 2018. E’ la violenza più subdola e ordinaria, spesso sottovalutata, ma che può diventare preludio di episodi più gravi. Lo dimostra il dato di 16.140 donne che nell’ultimo anno sono entrate in Pronto Soccorso con una diagnosi di violenza.
Per questo abbiamo scelto quindi di diffondere un Manifesto contro la violenza di genere soprattutto attraverso il web e i social. Chiediamo alle persone di firmarlo simbolicamente, ma anche di stamparlo e appenderlo nei propri luoghi di lavoro e di socialità. Nel manifesto abbiamo messo in luce alcuni dati significativi sul fenomeno, ma soprattutto i diritti inalienabili di ogni donna. Abbiamo poi voluto suggerire come agire concretamente quando ci si imbatte in un episodio di violenza. Diffondiamo il numero 1522, quello del numero nazionale Antiviolenza e Stalking.
Perché avete aggiunto alla sensibilizzazione e al supporto alle vittime anche la formazione nei centri antiviolenza?
La sensibilizzazione è fondamentale, ma bisogna anche agire concretamente per supportare le donne vittime di violenza, perché trovino sul territorio realtà pronte ad accoglierle. Per questo negli ultimi anni abbiamo scelto di affiancare alcuni Centri Antiviolenza. Come Fondazione Marcegaglia abbiamo iniziato a sostenere il Centro Aiuto alla Vita e Centro Antiviolenza di Mantova fin dal 2014. Da subito abbiamo capito che serviva agire su due livelli diversi. Primo il sostegno personalizzato alle donne vittime di violenza nel loro percorso verso l’autonomia abitativa ed economica. Poi la professionalizzazione degli operatori, spesso volontari, che accolgono le donne e si trovavano ogni giorno ad affrontare situazioni di estrema complessità.
Grazie alla collaborazione con la counsellor Manuela Baiocchetti abbiamo studiato un percorso di formazione ad hoc e lavorato sul team building, sull’identità del gruppo e sulle abilità di counselling (come l’ascolto efficace, la gestione del colloquio, lo sviluppo dell’empatia) fondamentali per interagire con le donne vittime di violenza. Questo modello ha funzionato ed è diventato una best practises che stiamo cercando di esportare in altri contesti.
Già dal 2018 infatti, la Fondazione sostiene anche il Centro Antiviolenza del CIF di Carrara, fornendo competenze di counselling alle operatrici e sostenendo un intervento sperimentale di reinserimento lavorativo attraverso le attività di olivocultura e apicultura. Nonostante il loro vissuto difficile, queste donne si sono dimostrate determinate a mettersi in gioco e desiderose di iniziare a scrivere un futuro fatto di autonomia, relazioni positive e nuove opportunità lavorative e la soddisfazione più grande è vedere che molte di loro ce la stanno facendo.
Quali saranno gli sviluppi futuri del progetto?
Crediamo che sia fondamentale costruire una rete tra le realtà che si occupano della violenza di genere. Per questo abbiamo appena approvato un progetto che favorisce la condivisione di competenze tra le varie realtà che sosteniamo. Inoltre, nel periodo del lockdown abbiamo sperimentato la formazione a distanza con risultati inaspettati. E’ nata l’idea di aprire la formazione online anche ad altre realtà nazionali, rimodulando obiettivi e bisogni condivisi.
Torniamo alla Fondazione Marcegaglia: quando nasce? Con quale mission e vision?
E’ la fondazione di partecipazione della famiglia Marcegaglia nata per realizzare interventi di solidarietà e progetti di cooperazione internazionale con un’ottica imprenditoriale e di sostenibilità. Si rivolge principalmente all’universo femminile, perché siamo convinti che le donne costituiscano, ovunque nel mondo, il vero motore della crescita delle proprie famiglie e comunità. Per questo lavoriamo quotidianamente per dare loro conoscenze e strumenti per diventare artefici del proprio sviluppo umano ed economico. All’estero sosteniamo progetti di sviluppo focalizzandoci sull’imprenditoria femminile mediante l’avviamento al lavoro e la creazione di microimprese. In Italia supportiamo interventi volti a combattere l’emarginazione sociale, la violenza domestica e le nuove povertà in particolare nei territori dove l’azienda è presente con i suoi stabilimenti.
Può farci una carrellata sui progetti al femminile della Fondazione Marcegaglia?
Sono stati davvero tanti e realizzati in contesti diversi e variegati. Posso dire però che lo spirito che ci ha animati è sempre stato quello dell’eccellenza imprenditoriale e della sostenibilità. Non vogliamo infatti creare una dipendenza dei beneficiari dai nostri aiuti, ma dare loro gli strumenti per diventare artefici del proprio sviluppo.
Agli albori abbiamo lavorato molto sul tema della sanità, sia in India che ad Haiti e sul tema dell’empowerment femminile tramite la formazione e l’allevamento in Niger e Sierra Leone. In Marocco, Albania e Romania abbiamo sostenuto delle cooperative femminili dedite alla produzione tessile e casearia. Mentre in Rwanda dal 2013 siamo impegnati in un grande progetto di sviluppo attraverso microimprese e cooperative al femminile, ma anche formazione dei più giovani e tutela dell’infanzia. In Italia invece ci siamo sempre dedicati a situazioni di fragilità ed emarginazione sociale. Diversi i progetti dedicati alla formazione di giovani svantaggiati, sostegno famigliare e avviamento al lavoro di donne in situazione di disagio, oltre che gli interventi di sostegno ai Centri Antiviolenza.
Perché avete scelto ad esempio il mondo della moda e della tessitura con Crisalis e Atelier Bebrel?
Questi due progetti ci stanno particolarmente a cuore perché il loro obiettivo è quello di sostenere donne vittime di violenza o di tratta in un modo concreto ed efficace, attraverso la formazione e il lavoro. La tessitura e la moda diventano in questo contesto uno straordinario veicolo di riscatto sociale ed economico. In entrambi i casi si tratta di laboratori sartoriali di alta qualità. Realizzano un prodotto di eccellenza con un carattere sociale, rispondendo anche a una esigenza del mercato sempre più attento ai risvolti etici e di sostenibilità delle produzioni.
Crisalis è un progetto europeo finalizzato all’integrazione sociale e all’indipendenza economica di donne vittime di tratta a scopo sessuale. All’interno di questo intervento abbiamo sostenuto la cooperativa Quid di Verona che si è occupata di formare alcune donne con competenze sartoriali per realizzare una collezione di accessori su misura, progettata dalle beneficiarie, che celebra il contributo della creatività all’integrazione, all’empowerment e all’equità nel mercato del lavoro.
Il progetto Atelier Bebrél nasce per dare un’opportunità nuova alle donne con fragilità accolte in alcune comunità del bresciano. La Fondazione Marcegaglia ha sostenuto l’Associazione Punto Missione Onlus nella creazione di un laboratorio artigiano di sartoria altamente professionale. L’Atelier è suddiviso in due laboratori. Il primo è aperto al pubblico che effettua lavori di sartoria, riparazioni sartoriali e confezione su misura. L’altro è adibito alla formazione. Le strutture dialogano e collaborano, sia per il passaggio di competenze che di lavoro.
Come è nato il progetto e il legame con il Rwanda. Anche qui la chiave sono state le donne, come architrave della comunità?
Il motto della Fondazione Marcegaglia è: “Le radici in Italia, lo sguardo aperto sul mondo”. Lo abbiamo scelto perché crediamo di non poter fare a meno delle nostre radici italiane, così come di un orizzonte che abbracci i bisogni anche delle persone più lontane. L’obiettivo però è sempre lo stesso: garantire dignità e lavoro alle donne a partire dalle risorse locali e dalle competenze personali.
Alla creazione di piccole attività imprenditoriali è legato il progetto Rwanda, nato nel 2013 per donne vedove e madri di famiglia. Nato come sostegno all’allevamento, oggi è diventato un intervento che coinvolge tutta la comunità di Rilima nel paese. Questo progetto ci ha insegnato che, a volte, basta poco per creare un cambiamento radicale. Donare una mucca a queste donne le ha fatte uscire dalla povertà, grazie al consumo e alla vendita del latte. Hanno ritrovato fiducia in loro stesse e la voglia di condividere con altre donne, fondando una cooperativa. Al momento il progetto coinvolge oltre 500 donne. Sono nati dei vitellini; hanno un vivaio di piante da frutto e delle cisterne per la distribuzione dell’acqua.
E’ bastato il sostegno materiale?
La Fondazione Marcegaglia si occupa anche della formazione dei più giovani con circa 200 borse di studio che permettono alle ragazze e ai ragazzi più meritevoli, ma senza mezzi, di intraprendere corsi professionalizzanti. C’è poi un intervento di microcredito che ha già consentito la creazione di 230 nuove piccole imprese a giovani e donne. Infine nel 2020 abbiamo inaugurato il Centro per l’Infanzia che accoglie ogni giorno 120 bambini tra i 3 e i 6 anni garantendo il corretto sviluppo dei piccoli e assicurando loro un posto sicuro dove stare mentre le madri lavorano.
Diamo uno sguardo al prossimo anno che è ormai vicino: in che direzione si orienterà la Fondazione Marcegaglia?
Gli ultimi due anni sono stati difficili anche per i nostri progetti. L’epidemia di Covid-19 e i periodi di lockdown hanno creato nuove povertà e nuovi bisogni e nel contempo reso difficile dare continuità agli interventi di aiuto. Siamo sempre più motivati a ricominciare ciò che si era interrotto e ad aprirci a nuovi beneficiari. In Rwanda abbiamo appena formulato un piano ambizioso per i prossimi 5 anni dove ci impegneremo moltissimo sui temi della formazione e del microcredito per dare nuovo slancio allo sviluppo economico e sociale dei territori in cui lavoriamo.
In Italia la nostra priorità resta il contrasto alla violenza di genere e cercheremo di estendere il più possibile il modello di intervento che abbiamo sperimentato con successo fino ad oggi.
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