A quasi 5 anni da quando dj Fabo morì a seguito di suicidio assistito in Svizzera, nel febbraio 2017, dalle Marche arriva il via libera formale alla pratica del suicidio medicalmente assistito per un uomo di 43 anni. Mario (nome di fantasia), camionista, da 10 anni è tetraplegico a causa di un incidente stradale. È immobilizzato, cioè, nel torso e in tutti e quattro gli arti superiori e inferiori: braccia e gambe. Adesso è “il primo malato a ottenere il via libera al suicidio medicalmente assistito in Italia“.

Suicidio assistito, le condizioni

A darne notizia è l’Associazione Luca Coscioni. Il Comitato etico dell’azienda sanitaria di riferimento, la Asur Marche (Azienda sanitaria unica regionale), ha deciso che nel caso di Mario esistono le condizioni per accedere al farmaco letale. Ciò è stato legalmente possibile in base alla sentenza della Corte Costituzionale 242 del 2019 sul caso di dj Fabo. La decisione del Comitato etico dell’Azienda sanitaria è arrivata dopo un iter lungo e faticoso durato 13 mesi. Un’equipe di medici e psicologi ha verificato la sussistenza di tutte e quattro le condizioni stabilite dalla Consulta perché di fatto si possa ammettere il suicidio assistito. Fra queste, l’irreversibilità della malattia, l’insostenibilità del dolore e la chiara volontà del paziente.

I paletti della Corte Costituzionale

La sentenza della Corte Costituzionale numero 242 del 22 novembre 2019 ha aperto la strada al suicidio assistito, sia pure circoscrivendolo con paletti rigorosi. Manca l’intervento del legislatore, cioè del Parlamento, affinché ci sia una legge in materia. Tuttavia, come spesso accade, anche in questo caso le sentenze fanno da apripista. Come ricorda l’agenzia di stampa Agi, la sentenza della Consulta di due anni fa ha infatti stabilito l’illegittimità costituzionale dell’art. 580 del codice penale nella parte in cui non esclude la punibilità di chi agevoli l’esecuzione del proposito di suicidio. A patto che questo si sia formato autonomamente e liberamente da parte di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale.

Irreversibilità e chiara volontà

La persona deve essere affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputi intollerabili. Ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni, e le modalità di esecuzione, siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale. E questo previo parere del comitato etico territorialmente competente.

LEGGI ANCHE: Eutanasia legale, il referendum si avvicina: raccolte 500mila firme. Cosa è lecito e cosa è illegale oggi in Italia