Ho conosciuto Stella Egitto ormai diversi anni fa: ci siamo incontrate in Calabria, nello scenario surreale e mozzafiato dei Laghi di Sibari. Abbiamo lavorato per circa venti giorni alla storia d’amore tra due donne, opera di un autore emergente. Stella era reduce dal successo del film gioiello di Pif, “In guerra per amore”, e dal primo momento in cui l’ho vista mi ha rapito la sua presenza scenica quasi selvatica: provava alcune scene del film chiusa in una stanzetta con me e il regista, e tutto il suo corpo era in azione. È da sempre una che recita con le braccia, con la schiena, con le gambe e perfino coi capelli, si muove con la potenza del modern-jazz e di una formazione teatrale fiorita su un DNA totalmente e magneticamente siculo. Io e Stella siamo diventate grandi amiche, ci uniscono un affetto e una fiducia viscerali, perché con lei è così: senza mezze misure dentro e fuori dal set. È tanta come la sua terra, che debba raccontarti una litigata o quello che sta cucinando per cena, con lei non fa differenza.

Stella Egitto in una scena tratta dal film “Nel bagno delle donne”, dove interpreta Anna

Oggi Stella è reduce da un periodo davvero produttivo: è tra i protagonisti del film “Nel bagno delle donne” insieme a Luca Vecchi (The Pills) e Daphne Scoccia, diretto da Marco Castaldi e disponibile sulla piattaforma MioCinema. Una commedia intelligente che trova una quadra inaspettata tra il lessico del web e l’ironia della satira, partendo da un’idea estrema (mollare tutto e chiudersi nel bagno di un cinema di nicchia) per raccontare la pigrizia e il disincanto della generazione del precariato, del matrimonio al giorno d’oggi e del mondo social. Insomma, è un po’ come trasportare al cinema i meme più brillanti del web. Qui Stella interpreta la moglie di Giacomo (Luca Vecchi), ma nel frattempo ha ultimato le riprese della serie prodotta da Lux Vide per Mediaset “Buongiorno Mamma” (con lei nel cast Raoul Bova e Maria Chiara Giannetta) e del film Netflix “Mio fratello, mia sorella” (con Alessandro Preziosi e Claudia Pandolfi). In tutto questo, fin dagli esordi, curiosamente torna a rincorrerla il ruolo di madre: forse proprio per quella sua vigorosa presenza, che ricorda una leonessa messinese intenta a proteggere la cucciolata e difendere il branco… Che sia al telefono con un’amica o sotto le bombe della seconda guerra mondiale, come la sua Teresa nel film di Pif del 2016.

Intervista a Stella Egitto, protagonista del film “Nel bagno delle donne”

“Nel bagno delle donne” è un film sopra le righe: non era scontato ma è incredibilmente nelle tue corde. So che preferisci i ruoli drammatici, avevi considerato di poter funzionare in una commedia come questa?

Non me ne ero resa conto, anzi, ho avuto la percezione di essere fuori target per buona parte delle riprese. Siamo tutti attori che rappresentano mondi diversi e io associavo i miei colleghi ad un “fare commedia” lontano da me. Ma ho capito che queste differenze interne al cast sono state il segreto degli ingredienti giusti. Il film mi è piaciuto moltissimo fin dalla lettura della sceneggiatura, era piccolo ma politamente scorretto ed è un’operazione riuscita.

È un insolito gioco di equilibri, quello tra te e Luca Vecchi: tu drammatizzi sopra le righe, e lui sdrammatizza sopra le righe. Quando tu urli con le lacrime agli occhi, lui ti risponde urlando con quel fare disincantato, tipico di una generazione già raccontata dai The Pills. 

È vero, non avrei scommesso che questo incastro avrebbe funzionato. E non ti nego che ho fatto una bella fatica. Luca, con la sua vena più irriverente e sarcastica, sedava i miei eccessi emotivi. È stata proprio questa la forza! Lavoravamo su due appigli diversi, tanto sul set quanto nella storia.

Io ti conosco bene e ti ho ri-conosciuto in questo ruolo. In alcune scene mi sembrava di vedere il tuo modo di reagire e rapportarti nella vita reale: Stella avrebbe fatto così. Hai avuto la stessa sensazione?

Sì, spesso. La grande differenza è che forse io non avrei avuto la pazienza di Anna, non avrei concesso quel tempo a Giacomo. Nella vita gli avrei dato al massimo ventiquattr’ore prima di esplodere; alla venticinquesima ora avrei perso la maturità del mio personaggio. Invece mi è piaciuta l’idea che lei, per amore, mettesse in campo quella pazienza.

Stella Egitto in una scena tratta dal film “Nel bagno delle donne”, dove interpreta Anna

Anche la scelta di affrontare e perdonare i tradimenti, come se fosse una cosa semplice, porta a riflettere. Tu ci hai riflettuto?

(Ride, ndr) È una scelta molto forte. Entrambi si sono dati la possibilità di aspettare, mi piace che tutti e due abbiano fatto dei percorsi separati per poi tornare a scegliersi in quel loro equilibrio folle. Che poi, sfido qualunque uomo ad essere davvero felice con una donna che gli tira lo sciacquone mentre è in bagno! Un’idea di sceneggiatura deliziosa, questa, per raccontare come Anna sia una maniaca del controllo totale.

Sei legata per natura alla tua sicilianità: a mio avviso tutta la tua fisicità e il tuo acting derivano da questo. Eppure c’è spesso la tendenza a ‘normalizzare’ gli attori con una forte identità regionale. Come vivi questo aspetto del tuo lavoro? 

(Ride, ndr) Che bella domanda, ne sono grata e mi piacerebbe saper rispondere da non siciliana. Penso che la Sicilia mi abbia marchiato il DNA. Spesso, quando devo affrontare qualcosa a sangue freddo, mia mamma mi dice: “Stella, sii più milanese”. È come quando un regista prova a dirti di fare quella scena più contenuta, ma è un territorio minato. Il mio non mettere filtri, non proteggermi ed esplodere di emozioni è figlio della mia Terra. Non ho un grande senso della misura e neanche la Sicilia, la terra da cui vengo, ce l’ha: né in quello che sa fare né in quello che non riesce a fare. È sempre un eccesso: è tanto il sole, è tanto il caldo, è tanto il cibo, è tanto aperta, è tanto logorroica. Come me. E devo imparare, devo dosare: il mio sorriso che parte da un orecchio e finisce all’altro forse è molto bello, ma spesso diventa troppo.

Questo per te è stato un periodo professionalmente molto produttivo. Questo mestiere però è fatto di alti e bassi, di momenti in cui si lavora tanto e altri di faticoso stallo. Cos’è che ti spinge a non mollare mai?

Tutte le volte che me lo domando, torno indietro e penso all’entusiasmo iniziale con cui ho scelto questa vita. Non era un entusiasmo legato all’andare in televisione o al cinema, ma alla felicità con cui questo lavoro risponde alle mie grandi domande. Sono andata a rifugiarmi in un mestiere che per me rappresenta la possibilità di vivere mille vite. Significa non morire mai, e superare il più grande tabù della mia vita. Se mi chiamassi fuori da tutto questo, per me sarebbe un po’ come morire. Ed è facendo teatro che mi ricordo ogni volta il perché.

Hai detto una cosa forte, e non è la prima volta che la ammetti: recitare per te è non morire mai e superare il più grande tabù della tua vita.

La paura della morte è qualcosa con cui non so se riuscirò mai a fare pace. Per me è come se una vita sola non bastasse, e quelle dei personaggi che interpreto sono inevitabilmente vite più forti della mia, anche nella loro drammaticità.

Il personaggio di Rosaria, nel film “Malarazza” (di Giovanni Virgilio, 2017), è stata la vita a cui sei rimasta più legata: perché?

Perché è stato il primo film che mi ha dato una responsabilità assoluta: quella del mio personaggio e del figlio che doveva proteggere per evitargli un futuro come il suo. Ho fatto una preparazione fuori dall’ordinario, vorrei fosse così ogni giorno che vado a interpretare un ruolo. Ci siamo addentrati in delle zone difficili della Sicilia, per farmi raccontare le storie di quelle persone che, alla stessa giovane età della mia Rosaria, avevano già quattro figli a cui dare da mangiare solo pane e cipolla. C’era tutto in loro: desiderio, gratitudine e soprattutto voglia di riscatto.

Tu sei spesso madre nei tuoi ruoli, nonostante tu non lo sia ancora nella vita reale e non sia necessariamente una persona ‘materna’. Perché gli autori e i casting director colgono questa sfumatura in te?

Mi sembra un complimento enorme. Forse non ne sono consapevole, ma quello che so è che non mi spaventa interpretare una madre. Ed è difficile dire perché mi scelgano per questi ruoli. Nella vita un giorno desidererò davvero avere un figlio: non è ancora un progetto, ma forse è un desiderio che si percepisce nella mia empatia. Gli addetti ai lavori potrebbero coglierlo. Mi rendo conto che posso convincere in quanto figura capace di avere cura di qualcuno più piccolo e quindi più debole di me.

Ogni volta che ne hai occasione ribadisci il tuo amore per gli autori emergenti e i film indipendenti. È una cosa che si tende a dire spesso, rientra nel politically correct, ma tu ci credi davvero. Lo testimonia il tuo percorso: perché sei così legata a queste realtà?

Per l’urgenza che hanno questi progetti. È la stessa con cui io sono partita a 18 anni dalla Sicilia, lasciando mia madre, chiamandomi fuori da un senso di responsabilità familiare verso di lei, in quanto figlia che non ha più un padre. Ho lasciato tutto per studiare all’Accademia Silvio d’Amico di Roma. Ed è la stessa urgenza e lo stesso sacrificio che riscontro nei progetti che cercano sostegno.

Che bilancio faresti di questi primi dieci anni di carriera? Cosa è andato bene e cosa è andato storto?

È andato bene tutto quello che ho scelto e che mi ha scelta: sono corrispondenze di amorosi sensi in cui credo molto. Se potessi tornare indietro mi piacerebbe proteggermi di più, però, con la consapevolezza di oggi. Mi sono fatta male, le delusioni fanno parte del gioco e io sono partita da sognatrice.

E avresti voluto essere più ‘milanese’.

Già. Ma forse non ne sarò mai capace.

Te la ricordi la telefonata più felice della tua carriera finora?

Certo, sempre: quando ho saputo di essere entrata in Accademia. L’inizio di tutto. Ero in Sicilia, dovevo telefonare in segreteria per scoprire se ero stata ammessa. Il numero era sempre occupato, quel giorno, mi sono sembrate un’infinità di ore ma poi finalmente la notizia è arrivata. Penso sia stata la telefonata più felice di tutta la mia vita.

STELLA EGITTO – Cover Credit
Maglia monospalla: Ele Collection
Fotografa: Maddalena Petrosino
Styling: EPsuite19
Make up: Raffaele Schioppo – Simone Belli Agency
Hair: Francesco Borghese
Hair designer: Jerry D’Avino
ufficio stampa Lorella Di Carlo