Il lockdown di primavera, nel corso della prima ondata del nuovo coronavirus, appare lontano. Eppure in parte ci risiamo. E c’è chi fa “disobbedienza civile”. Si parla infatti, dopo il decreto Conte del 25 ottobre, di una sorta di semi-lockdown in cui l’Italia sta di nuovo precipitando. Si sa, i contagi e i ricoveri per Covid preoccupano. Domenica scorsa nel nostro Paese si sono contati 21.273 nuovi casi. In totale nelle terapie intensive si trovano oltre 1200 persone, mentre gli attualmente positivi in tutta Italia sono oltre 222mila.

In questo contesto, da una parte si plaude alle nuove misure restrittive adottate dal governo, quali lo stop alla movida. Ma anche la chiusura di bar, pub e ristoranti alle 18 (salvo dal domenica) e di palestre, cinema e teatri. Da un altro lato, però – contrariamente a quanto accaduto fra marzo e aprile scorsi – molti cittadini sono esasperati. La crisi economica e sociale sta esplodendo. A Napoli e a Roma centinaia di persone sono scese in strada e si sono verificati scontri con le forze dell’ordine, negli ultimi giorni. E si rischia ora una situazione simile da Torino a Catania.

Non esiste oggi quel clima di “pax del virus” che, causa la paura di una patologia completamente ignota sino all’inizio di quest’anno, aveva favorito uno spirito di solidarietà civile, rappresentato da quell’ “Io resto a casa” fatto proprio dalla maggior parte degli italiani. Molti degli stessi commercianti avevano deciso di esporre sulle serrande delle proprie attività un cartello con questo slogan.

Ora non più. Le ultime disposizioni adottate dal governo per arginare l’aumento dei contagi delle ultime settimane hanno generato un malcontento diffuso. Proveniente soprattutto dal mondo della cultura, costretto ancora una volta a fermarsi. È così che Antonio Mosticchio, titolare del cinema Multiplex Sala Fasano di Taviano, nel Salento leccese, ha deciso di non rispettare quanto imposto dal Dpcm che rimarrà in vigore fino al 24 novembre. “All’ingresso ho affisso un cartello con la scritta Io resto aperto. È una forma di “disobbedienza civile per protesta contro questa chiusura che non ha senso, perché il cinema resta tra i luoghi più sicuri e controllati“, ha spiegato Mosticchio.