“Vola solo chi osa farlo” e non potrebbe essere più vero. La penna di Luis Sepulveda, così vera, così contemporanea, oggi ha terminato l’inchiostro. Un giorno triste per la letteratura mondiale, un giorno triste per chi ha saputo amare le parole di Sepulveda e farle proprie.

“E se è tutto un sogno, che importa. Mi piace e voglio continuare a sognare”

Perché smettere? Anche se un virus terribile, inaffidabile, silenzioso lo ha strappato via a questa terra, a soli settant’anni, perché Luis Sepulveda, il cileno, dovrebbe smettere di sognare? Una vita intensa, la sua. Credeva nel sogno -appunto-, nelle favole, nel coraggio; non lo ha mai nascosto. Lo ha dimostrato quando per la prima volta ha rotto gli indugi e ha scritto, scritto perché gli altri leggessero. Lo ha fatto quando ha condotto con audacia battaglie politiche che lo hanno portato al confinamento in carcere. Lo ha fatto quando ha ripreso in mano la propria vita, a seguito delle torture subite, e ha fatto della creatività che lo ha sempre contraddistinto qualcosa di enorme, di difficile da raccontare.

Da “Il vecchio che leggeva romanzi d’amore”, passando per “Un nome da Torero” fino ad arrivare a “Il grande libro delle favole”: Sepulveda ha lasciato tracce incancellabili del proprio passaggio. Sarebbe riduttivo definirlo solo ed esclusivamente uno scrittore; ha saputo mostrare i propri talenti nei ruoli di regista cinematografico e giornalista. La celebre pellicola “Nowhere” porta la sua firma, così come il documentario “Corazonverde”. Dal suo “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare” è stato tratto l’indimenticabile “La gabbianella e il gatto”; un film d’animazione delicato, che racconta la diversità con empatia, con dolcezza e che intende trasmettere il più forte dei messaggi: “abbiate coraggio”.

Una voce, la sua, immortale che non si spegne oggi, 16 aprile 2020. Un mondo, il suo, che non finisce con il coronavirus; vivrà per sempre perché “Nessuno riesce a legare un tuono, e nessuno riesce ad appropriarsi dei cieli dell’altro nel momento dell’abbandono”.