Sui nostri smartphone esistono numerosi sensori. Ce ne sono una dozzina che, se correttamente utilizzati, possono darci una mano. Al contrario, se utilizzati in modo “informaticamente non igienico” possono diventare degli strumenti invisibili in grado di spiarci continuamente.

Lo scrive online sull’Ansa Enzo Quaratino. I sensori del cellulare – spiega a Quaratino il professor Domenico Laforenza, ricercatore emerito del Cnr – sono interni all’apparecchio e si possono classificare in base all’utilizzo dei dati che sono in grado di raccogliere. Si tratta, cioè, di sensori di movimento come gps, wi-fi, bluetooth.

Ma essi possono anche essere esterni al cellulare e usati per misurare parametri fisiologici, ad esempio la glicemia o la frequenza cardiaca. Lo sfruttamento corretto e avveduto dei dati generati dai sensori da parte delle App, dunque, si traduce in notevoli effetti benefici per l’utente del cellulare. “È, tuttavia, necessario prestare molta attenzione riguardo alla fine che fanno i nostri dati – aggiunge Laforenza -. Qui il discorso si complica e, spesso, diventa legittima la preoccupazione di un loro possibile uso lesivo della nostra privacy se non, addirittura, fraudolento”.

Insomma, se non si fa attenzione, il pericolo di essere “profilati”, o, peggio, spiati “in tempo reale” si fa molto più concreto. Bisogna prestare molta accortezza ai permessi che spesso distrattamente concediamo alle App che utilizziamo. Ad esempio: accedere alla telecamera, alle nostre foto, alle email, e che, il più delle volte, sono all’origine di uno sfruttamento non appropriato delle informazioni ricavabili. Oppure bisogna attivare i sensori, ad esempio quelli del wi-fi o del bluetooth, soltanto quando è necessario.