Oggi, nel 2019, sono circa 16 mila le donne italiane in divisa mimetica. Un dato che ci sembra normale e forse scontato, ma in realtà è soltanto con una legge del 20 ottobre 1999 che anche nel nostro paese – ultimo tra i membri della Nato -, le donne hanno avuto la possibilità di arruolarsi nell’esercito

Il cammino è stato difficile e spesso ostacolato ma alla fine il progetto delle donne soldato si è realizzato. La presenza femminile tra i militari rappresenta ormai una consuetudine in ogni attività militare. Questo accade sia in ambito nazionale, per compiti di pattugliamento o civili, come i soccorsi straordinari in situazioni di gravissime calamità naturali, che sul campo dei teatri operativi internazionali.

Sul piano delle operazioni all’estero, le donne militari sono spesso impegnate nelle operazioni di peace keeping e peace building. Ossia nell’ambito di forze di interposizione o supporto alle popolazioni locali vessate dalla guerre. La donna rappresenta, in particolare, una risorsa fondamentale nell’interazione con i civili.

Di conseguenza è un elemento fondamentale nel perseguimento delle finalità delle missioni nei teatri operativi. Così come degli scopi di cooperazione civile-militare. Le italiane militari, in ambito nazionale e nelle operazioni internazionali, contribuiscono alla sicurezza. E sono un moltiplicatore di forza e di efficacia nella ricostruzione, nei processi di stabilizzazione e nel mantenimento della pace.

Hanno pagato anche un triste tributo di sangue, le donne che dal 2000 in poi hanno vestito la divisa e imbracciato il fucile. Va ricordato che nel 2006 in Afghanistan c’è la prima soldatessa ferita in missione: il caporale Pamela Rendina, 24 anni, napoletana.

Altro sanguinoso episodio è del 2012: tre colpi di mortaio colpiscono una base avanzata italiana nel distretto del Gulistan, in Afghanistan. L’azione dei talebani causa un morto e cinque feriti, di cui due gravi. Una è Monica Contrafatto, del 1º Reggimento bersaglieri di stanza a Cosenza. Subisce gravi lesioni alla gamba destra, che le sarà parzialmente amputata. Monica, siciliana di Gela, si era laureata in Scienze motorie e poi arruolata nell’esercito.

Era alla sua seconda missione in Afghanistan. Oggi è una delle più promettenti atlete paralimpiche italiane: ha vinto una medaglia di bronzo nei 100 metri piani ai Giochi paralimpici di Rio de Janeiro 2016. Nonché una medaglia d’oro agli Invictus Games (Giochi dedicati a soldati menomati in azioni di guerra) del 2018, a Sydney, sempre nei 100 metri piani.

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