Intono alle 4 e 25 del mattino del 5 di agosto del 1962 il dottor Ralph Greenson dichiarò morta Norma Jeane Mortenson Baker. Lui era uno degli psichiatri più famosi della Hollywood del tempo. Da anni aveva in cura (e se ne era anche invaghito, come tutti d’altronde!) la donna per cui ogni aggettivo è semplicemente una parola insufficiente a restituire quel tutto che era (e continua ad essere): Marilyn Monroe.
E nessuno proprio nessuno discute che fosse una delle più grandi e sicuramente la più celebre delle attrici della storia. Semplicemente perché ad ognuno di noi è capitato di imbatterci nel suo sguardo – non importa se una delle mila miliardi di foto che la ritraggono o in una delle sue interpretazioni – ogni singola volta sembra che stia guardando proprio te e che ti convincerà a fare tutto quel vuole.

Il giorno del decesso

Il corpo di Norma Jean venne trovato nel suo letto – all’epoca abitava al 12305 di Fifth Helena Drive a Los Angeles con la sua governante Eunice Murray. Aveva solo 36 anni. Quella che era ritenuta una delle donne più belle al mondo, fu ritrovata nuda con vicinissima, tanto si pensa da tenerla in mano fino all’ultimo respiro, la cornetta del telefono. Il suo medico e psichiatra era stato allertato un’ora circa prima dalla governante: la Monroe si era chiusa dall’interno e la luce era accesa.

Il caso Monroe

La polizia arrivò alle 4:25. Alcune ricostruzioni sostengono che Marilyn fosse morta da ore, forse 5. Le ipotesi, le più svariate e spesso opposte, hanno raccontato di tutto: dall’intervento di un commando del mafioso Giancana per vendicarsi della Nuova Frontiera, il programma del ministro della Giustizia Bob Kennedy, il suo ultimo amante; all’ipotesi che sia stata portata in ospedale, ma respinta per l’eccessiva notorietà della vittima, fino alla riapertura del caso nel 1982 che confermò il suicidio. Senza dimenticare la teoria che fosse diventata scomoda proprio per la cattolicissima famiglia del Presidente John (suo ex amante), fratello di Bob, come pure per le informazioni in suo possesso dai tempi del matrimonio ‘comunista’ con Arthur Miller negli anni maccartisti della caccia alle streghe.

La testimonianza più oscura è stata sicuramente quella del dottor Thomas Noguchi, che eseguì l’autopsia, il mattino di quel maledetto 5 agosto in cui morì Norma Jean consegnando Marilyn al mito per l’eternità.
Il verdetto dell’esame parlava di una “alta probabilità” che fosse un caso di suicidio da overdose di barbiturici. Ma non fu la sola stranezza nella ricostruzione dei fatti di quella notte: le numerosissime telefonate, la presenza non confermata di Bob Kennedy nella casa dell’attrice la sera prima della sua morte, e le tante, troppe incongruenze dei testimoni.

Il funerale e le rose sulla tomba

Le esequie furono un gesto di amore di Joe Di Maggio, il marito n.2,  e si tennero l’8 agosto con 31 persone tra parenti e amici. Non furono ammessi gli altri due ex mariti: Dougherty, ma soprattutto Arthur Miller. Non era presente neppure sua madre, schizzofrenica e ricoverata in un istituto, le sarebbe sopravvissuta molti anni.
Marilyn aveva discusso del suo funerale anche con l’amico Truman Capote; in ogni caso si preparò da Marilyn Monroe: Whitey Snyder, il suo visagista, truccò il cadavere; la sua costumista Pearl Porterfield e la parrucchiera Agnes Flanagan si occuparono del corpo dell’attrice, disposto in una bara di bronzo e avvolto in un tessuto color champagne. Scelsero la parrucca bionda che aveva portato nel film Gli spostati al fianco di Clarke Gable e un abito verde di Emilio Pucci.
Joe dispose che il funerale fosse accompagnato dalla canzone Over the Rainbow  e dall’orazione di Lee Strasberg. Ma non bastava: l’eroe del football portò personalmente una volta a settimana un mazzo di rose rosse sulla tomba dell’attrice fino a che poté. Era impossibile da amare. Almeno così sosteneva Di Maggio, che subito dopo aggiungeva, che era impossibile smettere di farlo.
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